[22/05/2008] Comunicati

Reati ambientali nel codice penale. Dopo l´Ue tocca all´Italia

«L’Italia ora non ha più alibi e deve subito adeguarsi inserendo i reati ambientali nel codice penale». Con queste parole Ermete Realacci, ministro dell’Ambiente del governo ombra del Pd commenta l’approvazione da parte del Parlamento europeo della direttiva che introduce sanzioni per i reati ambientali gravi in tutti i paesi dell’Unione. E aggiunge che quella per l’inasprimento delle pene per chi commette crimini ambientali, è tra le prime proposte di legge che ha presentato in questa legislatura.
«Non dobbiamo dimenticare - prosegue Realacci - che si tratta di una riforma di civiltà per il nostro paese e già troppe legislature sono passate senza che questa necessaria innovazione del nostro codice penale, che pure aveva sempre raccolto un consenso da parte di tutti gli schieramenti politici, andasse a buon fine».
Soddisfazione anche per l’associazione di cui Realacci continua ad essere presidente onorario, Legambiente. L’associazione che pubblica dal 1994 il rapporto Ecomafie, chiede da allora che i reati ambientali vengano inseriti nel codice penale.

«Finalmente l’Unione Europea si dota di uno strumento legislativo in grado di contribuire alla lotta contro i crimini ambientali, con una direttiva che punisce le ecomafie con sanzioni pecuniarie o reclusione» commenta Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente, anche se non manca una nota di rammarico: «urtroppo - precisa infatti Cogliati Dezza - in seguito a una sentenza della Corte di Giustizia europea, le sanzioni dovranno essere definite a livello nazionale, anziché europeo, come previsto dalla proposta iniziale della Commissione. Legambiente si impegnerà con forza affinché il governo italiano nel recepimento della nuova direttiva faccia proprie le sanzioni previste dalla proposta iniziale della Commissione».

Anche Legambiente sottolinea che la nuova direttiva dovrà servire, senza più scuse, a completare il processo di riforma della normativa ambientale italiana, iniziato con l’approvazione nel 2001 del delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti ma mai concluso, procedendo una volta per tutte all’inserimento dei delitti ambientali nel codice penale.

Le inchieste condotte dopo l’introduzione del delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti (unico del genere in Europa e che consente un’efficace attività investigativa), hanno consentito di accertare il coinvolgimento di 10 Stati esteri: 4 europei (Austria, Francia, Germania e Norvegia), 4 asiatici (Cina, India, Siria e Russia) e 2 africani (Liberia e Nigeria). Il 47% dei rifiuti sequestrati erano diretti in Cina, il 16% a Hong Kong e il 12% in Irlanda.

Legambiente ricorda anche che il Parlamento italiano ha istituito, nelle ultime 4 legislature, una Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, che ha sviscerato il business illegale in tutte le sue forme e che dalla pubblicazione del primo Rapporto Ecomafia, le forze dell’ordine si sono strutturate con banche dati sui reati ambientali su scala nazionale e regionale. Dati che vengono annualmente elaborati da Legambiente e pubblicati nel suo rapporto annuale.

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