[23/05/2008] Energia

Il nucleare al tempo delle favole

LIVORNO. Il governo Berlusconi mostra i muscoli anche in politica energetica: «Entro questa legislatura porremo la prima pietra per la costruzione nel nostro paese di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione - ha annunciato infatti il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, intervenuto ieri alla giornata d’insediamento di Emma Marcegaglia a presidente di Confindustria.
«Solo gli impianti nucleari - ha aggiunto il ministro - consentono di produrre energia su larga scala, in modo sicuro, a costi competitivi e nel rispetto dell´ambiente».
Ma in queste due frasi, il ministro Scajola ha riassunto quelle che sono ad oggi ancora le criticità dell’energia ottenuta dall’atomo: la disponibilità di centrali di nuova generazione, i costi, il problema delle scorie e della finitezza del combustibile. Senza dimenticare la difficoltà in questo paese che si rileva ogni qual volta si progetti di costruire un impianto, anche per la produzione di compost, per le proteste della popolazione.
Abbiamo rivolte queste domande a Massimo Scalia,

Si pensa alla quarta generazione per il ritorno del nucleare nel nostro paese, perché risolverebbe il problema delle riserve di uranio e quello della sicurezza, è così?
«Scajola ripete quello che l’ad di Edison, Quadrino, raccontava pochi giorni fa all’università di Milano. Sono reattori di terza generazione. Infatti quelli su cui discute il consorzio Generation IV dovrebbero essere disponibili - per stessa ammissione di chi ci lavora - il prototipo industriale nel 2025 e la commercializzazione non prima del 2030. Ma quanto uranio fissile sarà rimasto allora, visto che lo studio 2001 dell’Aiea, l’agenzia delle Nazioni unite per l’energia atomica, ne contabilizzava in 35 anni le riserve operative? Guerre per l’uranio come quelle sul petrolio? Né va dimenticato, Ahmadinejad ce lo ricorda tutti i giorni, che anche i reattori del futuro servono a far prolificare l’industria delle bombe».

Scajola dice anche che il nucleare ha costi competitivi
«Il nucleare si tiene solo se sovvenzionato con finanziamenti pubblici o agevolati. Quelli di Edison saranno sicuramente dei maghi a garantire che non ne hanno bisogno, perché in America l’ad di quella industriola che è la Exelon ha detto che i primi due reattori nucleari che si faranno nei prossimi anni - gli ordinativi interni erano fermi dal 1978! - non avrebbero mai visto la luce se non ci fossero stati gli incentivi per il nucleare varati da Bush nel 2005.
Per restare in Europa, il reattore di terza generazione in costruzione a Olkiluoto, in Finlandia, lo stanno facendo con 600 milioni di euro francesi, prestati con lo stesso tasso agevolato riservato ai Paesi in via di sviluppo e con quasi 3 milioni di euro della Deutsche Bank. Ad aumentare i costi c’è poi lo smarginamento dei tempi per i doverosi controlli dell’ente di sicurezza: sui primi due anni ha già accumulato un anno di ritardo nella costruzione. Un dejà vu.
In ogni caso i costi del kwora nucleare dichiarati da quelli che lo fanno, non da quelli che lo studiano, sono 5,3 cent di euro dalla Francia (insospettabile in materia) e 6,1 cent come obiettivo al 2010 dal Doe (Usa), non i vergognosi 2 cent sbandierati da Piero Angela in un suo Superquark».

C’è poi il problema delle scorie radioattive
«Sì ed è da sottolineare il fatto che mentre si ha la pretesa di dire che il problema è praticamente risolto non meno di tre anni fa si stanziavano miliardi di euro da parte di Europa, Usa e Giappone per finanziare la ricerca fondamentale per progetti di “incenerimento” delle scorie. Se il problema fosse davvero risolto, perché continuare ad investire così tanto in queste ricerche?»

Riguardo alla accettabilità, sembra che il fatto che con un referendum sia stato bocciato il nucleare nel nostro paese, sia da considerarsi un “fatto simbolico”.
«Il referendum del 1987 ebbe infatti un grande risultato simbolico, quello di bandire il nucleare dalla pubblica opinione. Il governo di allora tentò di far sopravvivere il “limitato presidio nucleare” ma altre battaglie nel Paese e nel Parlamento portarono alla chiusura definitiva nell’agosto del 1990».

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