[26/05/2008] Energia

Nucleare fra miraggio e incubo

LIVORNO. La discussione sul piano annunciato dal Governo, di voler riaprire la stagione della produzione energetica nucleare nel nostro paese, sta tenendo campo in maniera serrata. Al di là dei pareri su chi è contrario o chi è a favore, si vanno diffondendo sempre più dati riguardo agli elementi che ne rafforzano o ne indeboliscono le ragioni. Non ultima la domanda che (si) pone Umberto Veronesi, riguardo al fatto che, se nel resto d’Europa si utilizza il nucleare, perché dovrebbe essere l’Italia a rimanerne fuori; non certo- pensando all’elemento sicurezza- (si) risponde Veronesi, per il fatto che negli altri paesi si abbia meno a cuore il problema della salute della popolazione. Gli altri elementi riguardano poi i costi, i tempi, le opportunità rispetto alla necessità di tagliare drasticamente le emissioni di anidride carbonica (che di per sé una centrale nucleare non produce) e i costi della bolletta elettrica. Anche Angela Merkel ha dovuto ammettere che dovranno rivedere la scelta dell’uscita dal nucleare nel 2020, come previsto.
Ne abbiamo parlato con Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club e di Quale energia.

Perché se nel resto d’Europa si fa il nucleare, dovremmo rimanere gli unici a non farlo, dice Umberto Veronesi, lei che ne pensa?
« In termini percentuali, la quota del nucleare è in calo da diversi anni a livello mondiale e in Europa il calo è particolarmente vistoso. L’unico paese che sta facendo il nucleare ex novo è la Finlandia, a Olkiluoto, dove si sta già accumulando un ritardo di due anni sulla tabella di marcia prevista e presenta extracosti per 1,5 miliardi di euro, tanto che la Siemens, fornitrice della tecnologia, nel 2008 ha perso in borsa un terzo del suo valore. La Germania non ha intenzione di investire in nuove centrali, semmai farà slittare i tempi di chiusura previsti di due anni. Per l’Italia, una risposta forte sul fronte nucleare è improbabile per diversi motivi. Non c’è solo la difficoltà a creare un ampio consenso sociale e politico, si tratterebbe di ripartire da zero e rimettere in piedi un nuovo sistema e quindi la produzione non potrebbe iniziare prima del 2020, come del resto ammette la stessa Edison fissando la data al 2019. Si tratta allora di vedere quale sarà lo scenario a quella data e i costi».

Che scenario avremo?
«Alti prezzi del petrolio e la necessità di tagliare le emissioni climalteranti entro i prossimi cinquanta anni, potrebbero far pensare al nucleare come strada da percorrere. Ma il contributo del nucleare (che sostituisce elettricità prodotta da gas o carbone) sarà ininfluente rispetto alla minaccia per le economie globali della futura riduzione della produzione di petrolio e anche per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Si parla molto di rinascimento nucleare, ma la realtà presenta dinamiche diverse e per molti versi sorprendenti: considerando le tendenze dei prossimi anni, in valori assoluti, vento e sole supereranno nettamente l’incremento di potenza nucleare installata.
Il fotovoltaico sarà drasticamente ridotto nei costi e avremo una grande produzione nel Nord Africa di energia utilizzando questa fonte. Non solo, anche nel resto dl mondo lo sviluppo della tecnologia di energia rinnovabile sarà elevato. Del resto il presidente Bush, non certo un fervente sostenitore delle fonti rinnovabili, ha indicato l’obbiettivo di raggiungere la parità tra i costi fotovoltaico e quelli convenzionali entro il 2015, lanciando a tal fine la Solar America Initiative con un primo budget di 170 milioni di dollari. Considerando il periodo del protocollo di Kyoto, 2008-2012, l’incremento netto del kwh eolico nel mondo sarà due volte e mezzo quello del nuovo nucleare mentre l’elettricità da fotovoltaico dovrebbe raggiungere un quarto di quella prodotta dalle nuove centrali atomiche. Quindi il contributo alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti di queste tecnologie, dovrebbe essere almeno 4 volte superiore rispetto al contributo netto del nucleare».

E sui costi?
«Quando si dice che i costi del nucleare sono competitivi rispetto alle altre fonti, ci si riferisce esclusivamente ai costi gestionali, basati su centrali che sono già state costruite e che quindi hanno già ammortizzato il costo di costruzione, e non includono il costo di trasmissione e distribuzione (che non pesa invece sugli impianti decentrati di piccola scala o negli interventi di efficienza energetica) ed è calcolato sulla base di antichi contratti di consegna dell’uranio a basso costo che termineranno attorno al 2012. E la disponibilità di uranio è un altro collo di bottiglia.
Se si parte dal nuovo, e se si devono introdurre i costi di realizzazione, la situazione è assai diversa. Un recente rapporto (Keyston, giugno 2007) indica che i costi di 1 kwh nucleare sono il doppio rispetto a quelli prodotti da fonti tradizionali. Del resto basta vedere cosa è successo negli Stati Uniti, dove nonostante l’incentivo di 1,8 centesimi di dollaro al kwh introdotto dall´amministrazione Bush, in Florida e in North Carolina, due aziende del settore hanno fatto i conti e hanno visto che avrebbero dovuto alzare troppo le tariffe, rinunciando quindi ad andare avanti. Ci sono poi i costi degli incidenti e della chiusura del ciclo, ma l’aspetto più incredibile della scelta nucleare riguarda la mancata soluzione dello smaltimento delle scorie. A 50 anni dalla realizzazione della prima centrale non c’è un solo paese cha abbia realizzato un sito definitivo per le scorie ad alta radioattività, in grado di garantire cioè sicurezza per alcune decine di migliaia di anni».

Confindustria sembra però molto convinta e ha accolto con favore il piano Scajola.
«Io direi agli industriali che se vogliono le centrali, le facciano pure. Senza però chiedere aiuti economici allo Stato. Ma senza sovvenzioni il nucleare non si tiene economicamente. Per questo sostenere che il ritorno al nucleare riduce la bolletta è falso. Costi e tempi ci dicono che il nucleare è un miraggio e che sarebbe meglio parlare di nuovo rinascimento di energie rinnovabili».

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