[26/05/2008] Monitor di Enrico Falqui

Bianchi, Verdi, Rossi e Blu

FIRENZE. «Solo una volta nella storia del Pianeta, i flussi di materia movimentati da una sola specie hanno pareggiato o superato l’insieme dei flussi naturali: quella volta è Oggi».
Così si esprime Amory Lovins, pubblicando sulla rivista “The christian science monitor”(marzo 2008) le sue preoccupazioni verso il secondo choc petrolifero che, innalzando il prezzo del barile a 120 dollari, può determinare una riduzione della crescita economica globale fino al 3,6% del Pil.

Nell’ultimo secolo, gli abitanti del pianeta hanno diffuso nell’ambiente piombo (elemento proveniente in larga parte dal sistema mondiale della mobilità) in misura tre volte maggiore di quella che potrebbe disperdersi naturalmente.
Recenti ricerche compiute in Antardide hanno rilevato la più alta concentrazione di anidride carbonica in atmosfera da 420.000 anni a questa parte e ci sono voluti solo 100 anni di combustione industriale per arrivare a questo livello.

L’ Italia registra una sostanziale stabilità nell’utilizzo delle materie prime con valori che nel 2004 erano stanzialmente uguali a quelli di 25anni prima.
Essendo un paese scarsamente dotato di risorse naturali e materie prime e con un’economia largamente basata sulle attività di trasformazione, l’input materiale diretto dell’Italia è gradualmente mutato in favore delle importazioni, che sono passate dal 25,4% al 38,6% negli ultimi 25anni.
Invece, nei documenti ufficiali di numerosi Paesi Europei ed organismi internazionali, si è assistito negli ultimi anni, ad un progressivo spostamento dell’attenzione sulla riduzione dell’utilizzo complessivo delle risorse, come nodo cruciale di una strategia di sviluppo sostenibile.

Ad esempio, una Commissione del 12°Bundestag, il parlamento tedesco, ha approvato un rapporto, a conclusione di un’inchiesta sui flussi di materia nel sistema economico tedesco, in cui si afferma : molti dei problemi ambientali europei hanno a che fare con il nostro modo di fare economia, in particolare con il prelievo e l’utilizzo di risorse, con la quantità e la struttura dei rifiuti, ovvero con i flussi di materia e il modo di utilizzare i materiali. La nostra economia è caratterizzata da una struttura di tipo DurchfluBwirtschaft”, ovvero una “ struttura lineare” dell’utilizzo dei materiali ( natura-economia-natura), contrapposta ad una “ struttura circolare” di un’economia eco-efficiente, nella quale la materia viene prelevata dalla natura in quantità minori, e quindi a questa restituita in quantità minori, grazie all’utilizzo efficiente e al riutilizzo di quanto prelevato.

Nel 13° Bundestag invece si è messo a fuoco un problema di sostenibilità dello sviluppo che, nel nostro paese è divenuto esplosivo nell’ultimo decennio: nel settore delle costruzioni l’utilizzo dei materiali costituisce un fattore complementare all’occupazione di suolo e, nel rapporto conclusivo della Commissione parlamentare tedesca, si indica con chiarezza che l’utilizzo delle superfici di suolo deve essere “sganciata” dalla crescita dell’economia e della popolazione e che «entro il 2012, in Germania, vi deve essere un rallentamento della trasformazione di superfici non edificate in superfici di insediamento e trasporto. Tale riduzione deve essere pari al 10% di quello che si è stabilito di trasformare negli anni di maggiore consumo di suolo, 1993-1995».

Oltre ai materiali effettivamente incorporati nelle materie prime che a loro volta entrano a far parte dei beni di consumo, la natura subisce il prelievo e l’immediata restituzione di masse enormi di materia, assai rilevanti dal punto di vista ecologico.
Si tratta di rifiuti minerari e della raffinazione dei minerali ( si pensi alla bauxite, da cui si ricava l’alluminio, materiale di vastissimo impiego), dell’acqua di raffreddamento dei sistemi industriali ( che costituisce circa il 70% dell’acqua utilizzata in tutti i cicli produttivi, produzione di energia elettrica compresa), dell’acqua di deflusso deviata dal suo corso naturale dall’impermeabilizzazione dei suoli e dall’ urbanizzazione dei suoli rurali.
Tutti questi flussi di materia sono causati dal funzionamento delle economie in quanto “ sottoprodotti” necessari ad ogni produzione.

Per ridurre questo gigantesco “flusso di materia” che destabilizza e inquina i cicli naturali, l’Austria ha recentemente varato un Piano ambientale che punta a ridurre di un “fattore dieci” la massa dei materiali causati dall’economia austriaca ; tali politiche di riduzione dei flussi di materia vengono contabilizzate nel Bilancio dello stato austriaco attraverso un monitoraggio attento che consente di varare incentivi premiali e defiscalizzazioni ai soggetti produttori e , in modo diverso, anche ai consumatori.
Attraverso questo cambiamento degli indicatori di “benessere dell’economia”, in Svezia, dal 1993, si è raggiunto un aumento dell’efficienza nell’uso dei materiali e dell’energia di un fattore 3 e la Commissione per il ciclo ecologico del Governo svedese punta a raggiungere l’obiettivo del fattore 10 nei prossimi 25-30anni.

Appare evidente che, agli inizi del nuovo secolo ritorna con forza la “teoria del cerchio da chiudere” del grande scienziato americano, Barry Commoner, secondo la quale all’interno della Tecnosfera della società contemporanea vengono realizzati cicli sostanzialmente chiusi per alcuni materiali e ciò ne rallenta la restituzione all’ambiente naturale. Tuttavia, anche se l’utilizzo dei materiali avviene in cicli chiusi, esso richiede sempre un input di energia e spesso di altri materiali, che, a sua volta, richiede l’utilizzo di materie prime vergini.
Ecco spiegato il perché un rigoroso Bilancio dei flussi di materia in un’economia contemporanea rappresenta un buon indicatore del potenziale “disturbo” globale imposto ai cicli naturali da parte delle attività umane.
Ecco perché, oggi, il necessario cambio di paradigma dello sviluppo si basa sull’obiettivo di realizzare un governo del metabolismo materiale di un sistema economico nazionale che non si limita solo a contenere i sottoprodotti del sistema produzione-consumi (emissioni, inquinanti, rifiuti), bensì sia orientato a rimuovere o correggere le cause prime ( quali il contenimento del consumo dei suoli, il risparmio idrico e energetico, l’incremento della biodiversità, della qualità dell’ambiente naturale e del paesaggio urbano.)

In Italia, invece, il dibattito politico e anche quello di gran parte dell’impresa, è concentrato su una “visione novecentesca” dello sviluppo.
Di questa visione “arretrata” dello sviluppo, la biofisica Donella Meadows ha dato una descrizione eclettica sulle pagine dell’”Economist”, affermando che tale dibattito ha assunto un carattere intransigente, mai prima accaduto nella storia recente del mondo contemporaneo, da parte di quattro fazioni ( scuole di pensiero”) in lotta permanente per l’egemonia culturale.

I “Blu” sono i sostenitori del libero mercato,hanno un atteggiamento positivo verso il futuro, sostenuto da un ottimismo tecnologico e fiducia piena nell’economia. Sono convinti che il mercato, la struttura dei prezzi siano in grado di fornire risposte tempestive tali da attenuare i danni all’ambiente o di far compiere alla tecnologia balzi in avanti nell’efficienza e nella produttività. A tale scuola appartengono oggi, in Italia, i sostenitori politici ed economici di un “ritorno al nucleare”che non è ancora di quarta generazione ma che non ha risolto ancora il problema dello stoccaggio delle scorie e del “ decommissioning” delle centrali nucleari.

I Rossi sono invece coloro i quali, non abbandonata la fede religiosa nei vari tipi di socialismo e comunismo, considerano il lavoro come la principale sorgente di ricchezza e vedono il suo sfruttamento alla base dell’ingiustizia, dell’impoverimento e dell’ignoranza. La distruzione dell’ambiente e la rapina delle risorse naturali viene descritta come una “ conseguenza inevitabile” della logica di dominio capitalistico, non rimuovendo la quale, la catastrofe ecologica sarà inevitabile.

I Verdi sono invece coloro che vedono il mondo in termini di “ecosistemi” e, laddove hanno mantenuto una identità storica, si preoccupano dell’impatto delle attività umane sull’ambiente: pur non essendo tecnofobi, non sempre essi vedono la tecnologia come un utile strumento per ridurre le conseguenze di tali attività sull’ambiente. Essi, come i Rossi, hanno tuttavia al loro interno molte anime e la loro azione culturale e politica è minata dal fatto che riescono a far coalizzare i nemici e a far dividere i propri amici, una formula che è servita, pochi mesi fa, a portare al” fallimento politico” la Sinistra Arcobaleno italiana e, nei prossimi mesi, servirà a tracciare un solco ancora più profondo tra loro e la sinistra riformista .

Infine ci sono i “sintetisti”, che potremmo definire per opportunità, i”Bianchi”, i quali non aderiscono , né si oppongono a nessuna delle tre precedenti scuole di pensiero. Sono coloro che con un’ottimistica fiducia nell’umanità , credono che “il tempo aggiusti tutto” e che chi pretende di dire agli altri cosa è giusto e saggio fare per la sopravvivenza del pianeta, porti la società contemporanea fuori strada. Si occupano con fervore dell’ambiente solo quando ha una dimensione locale e quando tocca interessi “materiali” delle singole corporazioni dell’economia.
Essi rifiutano tutte le ideologie ( quelle sul mercato, sulle classi e sulla natura) e ritengono che solo le persone informate e responsabili possano risolvere i problemi sociali, poiché le soluzioni di tali problemi hanno origini dai luoghi e dalle culture locali, non dalle ideologie.

Ognuno di questi “colori” è parzialmente corretto anche se largamente incompleto; ognuno vede il suo pezzo “correttamente”, ma poiché nessuno guarda all’insieme, nessuno arriva a soluzioni e conclusioni interamente condivisibili in un Paese (l’Italia), in un continente (l’Europa) che ha poco tempo a disposizione per adattarsi ai giganteschi mutamenti climatici e ambientali che sono in atto su questo unico Pianeta che possediamo.

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