[30/05/2008] Parchi

Parchi, aree marine protette e cambiamento climatico a Bonn

LIVORNO. Nei negoziati internazionali la questione della realizzazione e del rafforzamento delle aree protette è sempre più legata a quella dei cambiamenti climatici.
Anche al Cop9 della Convenzione sulla diversità biologica dell’Onu (Cdb), che si chiude oggi a Bonn, è stato riconosciuto che i parchi terrestri e le aree marine protette giocano un ruolo essenziale nell’attenuazione e nell’adattamento ai cambiamenti climatici.

Le aree protette possono diventare il centro delle nuove misure di riduzione delle emissioni di gas serra prodotte dalla deforestazione e dal degrado delle foreste nei Paesi in via di sviluppo e la stessa conferenza internazionale di Bali sul cambiamento climatico ha deciso di integrare questa problematica nei negoziati sull’accordo per il post-Kyoto.

Alcuni Paesi si stanno già muovendo: la Norvegia investirà mezzo miliardo di dollari all’anno nella prevenzione della deforestazione, con un meccanismo di finanziamenti rivolto proprio alle aree protette; la Spagna ha annunciato ieri un contributo di 368.000 dollari destinati ai parchi della Repubblica democratica del Congo per proteggere gorilla, scimpanzé ed il loro habitat forestale; la Germania ha presentato a Bonn “LifeWeb” che ha l’obiettivo di stimolare l’impegno volontario degli Stati per l’istituzione di nuove aree protette grazie all’impegno dei donatori pubblici e privati.

Il working group on protected areas (Wgpa) ha optato a Bonn per la proposta del Canada che fa riferimento genericamente agli sforzi destinati alla lotta contro il cambiamento climatico.

Ma al centro della discussione della Cdb sono state le domande: Cosa proteggere, come, a quale prezzo per le altre dimensioni della protezione della biodiversità?

La Cop9 ha discusso dei risultati del Wgpa di Roma del febbraio scorso (del quale parliamo in un altro articolo) che ha discusso di finanziamenti e della messa in opera del programma di lavoro adottato alla Cop7.

Le Parti hanno rilevato che più di 150 passaggi sono stati forzati all’interno delle ultime due raccomandazioni ed hanno discusso dei diversi innovativi meccanismi, incluso la creazione di partenariati pubblico-privati.

I Paesi sviluppati si sono lamentati della mancanza di aperture innovative sul tema della aree protette da parte dei Paesi in via di sviluppo, quest’ultimi hanno deplorato la reticenza dei “ricchi” a fornire nuove risorse finanziarie e tecniche. Insoddisfazioni e sospetti che sono stati in parte ridotti dalla discussione alla Cop9 di Bonn.

L’incontro della Cdb è stato preceduto da un lungo lavoro fatto di 5 incontri regionali che avevano l’obiettivo di incoraggiare le parti, i governi e le organizzazioni interessate a sostenere e mettere in opera misure attività di rafforzamento delle aree protette.

Per quanto riguarda le aree marine protette, durante la Cop 8, la discussione ha riguardato soprattutto le Amp di alto mare, concentrandosi sul mandato dell’Assemblea generale dell’Onu che ha realizzato un apposito gruppo di lavoro sulla difesa della biodiversità al di fuori della giurisdizione nazionale.

La decisione VIII/24 incoraggia la Cdb a sostenere il processo avviato dall’Onu e gli fornisce un apporto scientifico e le capacità tecniche riguardanti soprattutto l’approccio eco-sistemico e preventivo.

La Cop 8 si era distinta per il protagonismo dei Paesi industrializzati che avevano ignorato gli appelli dei Paesi in via di sviluppo a rispettare il diritto di accesso e condivisione delle risorse del mare così come aveva chiesto l’Assemblea Onu.

Forse solo l’avvicinarsi del 20109, anno cardine per il futuro della governance internazionale della aree protette e per la loro realizzazione, ha permesso di trovare un accordo che è stato tradotto nella “Guida dei negoziatori alla Cop 9 dela Cdb- Iepf 2008.”

Secondo la delegazione del Brasile al summit di Bonn «I pagamenti per I servizi ecosistemici, I pagamenti a titolo di compensazione ambientale volontaria, i partenariati tra opubblico e privato rappresentano dei meccanismi utili ma rimangono molto secondari, paragonati al sostegno dei finanziamenti internazionali».

I Paesi arabi hanno chiesto un significativo aumento dei contributi da parte del Global Environment Facility (Gef), per assicurare la messa in opera del programma di lavoro.

I piccoli Paesi insulari hanno messo l’accento sulla necessità di meccanismi che attraggano finanziamenti per le aree protette, mentre Unione europea e Canada hanno sottolineato la necessità dell’innovazione nei meccanismi di finanziamento.

I Paesi dell’Asia-Pacifico hanno chiesto che venga riconosciuto maggiormente il ruolo delle aree protette nell’adattamento e mitigazione del cambiamento climatico e il Giappone ha indicato l’urgenza di identificare le lacune nella gestione delle aree protette per poterle rafforzare.

Il forum permanente dei popoli indigeni ha chiesto di mettere uno stop alla creazione di aree protette nei loro territori fino a che l’Onu non avrà messo davvero in opera la dichiarazione sui diritti dei popoli autoctoni.

Diverse associazioni ambientaliste e Ong hanno fatto rilevare che nel programma di lavoro per le aree protette mancano la lotta all’eradicazione della povertà e e le minacce prodotte dalle grandi infrastrutture ed opere, come le dighe o le miniere.

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