[05/06/2008] Comunicati

Ricerca e sviluppo: che fa la Toscana?

FIRENZE. L’Unione Europea da J. Delors a Lisbona, indica nello sviluppo della conoscenza, il lavoro, lo sviluppo sostenibile la strada da seguire per competere nella globalizzazione economica con USA, Giappone, Cina, India, ecc.; che si tratti di TLC o di alternative al petrolio a 200 $ al barile o di genomica, di tecnologie dei materiali, d’intelligenza artificiale, ecc. Società ed economia della conoscenza non possono prescindere dalla Ricerca: dalla “curiosity driven”, all’innovazione di prodotto, di processo e dei sistemi complessi (che riguarda perciò tutti i settori primario, secondario, terziario, privati o pubblici che siano), allo sviluppo e al trasferimento tecnologico (si guardi alla rilevanza del settore sanitario anche in questo campo), alla crescita e diffusione dell’alta formazione (che coinvolge sistema scolastico e istruzione).

Il governo Prodi non ha dato significative risposte mentre quello di destra è intenzionato ad altro (detassazione del lavoro straordinario, opere faraoniche, sostegno ai settori dove prospera la rendita fondiaria e finanziaria – turismo e servizi di lusso, TV, settore bancario – e non il capitale di rischio industriale). E’ poco logico, anche se comprensibile, per la scarsa propensione storica delle classi dirigenti del capitalismo italiano all’interesse generale del paese, l’entusiasmo della signora Marcegalia per i “programmi industriali” del governo di destra (dal nucleare di vecchia generazione -il resto o non esiste o è troppo costoso-, al ponte sullo stretto di Messina).

La Toscana, in media italiana, si caratterizza per una bassa domanda e produzione di ricerca delle imprese perché il 99% circa ha meno di cinquanta addetti e svolge solo il 3,2% della ricerca e sviluppo per ovvie ragioni di dimensioni, basso livello culturale, assenza di collegamenti e di politiche specifiche. Di conseguenza solo il 5-10% dei nostri prodotti è ad alta intensità di ricerca; più bassa della media nazionale è la capacità di assorbimento di diplomati e laureati. Ma la Toscana ha uno dei patrimoni più consistenti in fatto di conoscenza e ricerca pubblica costituta dall’offerta di tre Atenei.

Si potrebbe così immaginare la Toscana stia progettando e attuando uno sforzo massimo per concentrare le maggiori risorse in ricerca, sviluppo, istruzione, perché attraverso una strategia di integrazione/interazione tra domanda e offerta di R.& S., formazione, trasferimento tecnologico, ecc., si colmino i ritardi accumulati; si creino e favoriscano imprese di ricerca a capitale di rischio che vivano dei risultati della ricerca e di brevetti che sfruttano direttamente o vendono ad altri; si integrino domanda e offerta di R&S per superare il ritardo nella applicazione della ricerca in tutti i campi e specialmente nell’alta tecnologia in collegamento fra la ricerca, educazione e formazione/lavoro, perché le imprese possano superare questo gap con personale adatto e formato.

E invece no. Dal 2004 la Regione ha due Piani uno per la ricerca universitaria (circa 55 milioni DPEF 2009) e l’altro per quella industriale (circa 35 milioni) che operano come due vasi non comunicanti, dove domanda e offerta non si incrociano. Le DG competenti sono almeno 4 e gli assessorati 6. Ma se si considerano tutti i fondi disponibili per finanziare e sostenere un Piano triennale (non previsto) per R&S, innovazione, trasferimento tecnologico e alta formazione in cui siano definite le priorità di spesa e bando coinvolgendo il sistema sociale e delle imprese e i territori, si arriva a una somma di 250-300 milioni di euro. Invece si pensa a una leggina per l’università agendo solo sull’offerta. Per fare cosa?

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