[11/04/2006] Consumo

Postindustriale o postpolitico?

AREZZO. Se «Il futuro ambientale, economico e sociale della Cina e dell´India rappresenta una sorta di test significativo per l´intero futuro dell´umanità» come ha affermato Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf e curatore dell´edizione italiana del rapporto State of the World 2006, occorre anche rilevare che l´era e la definizione "postindustriale" riguarda un´area geografica circoscritta (i 28 paesi dell´Ocse che rappresentano non più di 1,5 miliardi di persone) e non certo l´economia globalizzata.

Il rapido sviluppo di Cina e India, i quali con due miliardi e mezzo di abitanti rappresentano il 40% della popolazione mondiale, sta provocando - secondo il Wwf - effetti a catena in tutto il mondo. Se consumassero risorse e producessero inquinamento con i devastanti livelli procapite degli Stati Uniti, la conseguenza sarebbe insostenibile per il mondo: «Gli ecosistemi del nostro pianeta - aggiunge Bologna - non sono in grado di reggere un impatto così significativo, e gli effetti potrebbero essere devastanti per tutta l´umanità».

Eppure, La storia comincia negli ormai lontani anni ’50: lo spostamento di occupazione e di creazione dei posti di lavoro nel terziario e nei servizi ( di tutti i tipi) e l’assottigliamento di quelli legati direttamente al settore manifatturiero determinò, fin da allora la definizione dell’era economica attuale come post-industriale. Dopo l’industria.

Ma, appunto, è davvero così? E in che senso? Su quale scala geografica?

Può essere, nell’era della globalizzazione, che i rapporti fra manifatturiero e servizi vengano analizzati su scala nazionale e/o, anche, continentale (Europa)?

E’ questo il primo punto di analisi su cui intendersi: la scelta del punto di osservazione e del contesto da osservare.

Intendiamoci, finanziarizzazione, dematerializzazione (diminuzione dell’utilizzo di materie prime per unità di prodotto), informazionalizzazione (Castells), rappresentano certamente la cifra che contraddistingue il cuore pulsante dell’economia moderna.

Ma la questione è: nell’economia globalizzata si producono di più o di meno (in senso assoluto) beni materiali?

E ancora: vi sono più o meno lavoratori manuali alla produzione, come si diceva una volta?

E più provocatoriamente e sostanzialmente: nell’economia globalizzata, definita postindustriale, vi sono più o meno industrie manifatturiere?

I livelli di produttività e di realizzazione dei servizi (compresi quelli resi all’impresa manifatturiera) raggiunti nell’occidente e lo sfruttamento del lavoro e dell’ambiente nei Paesi Asiatici non autorizza affatto a pensare che l’industria manifatturiera sia diventata una nicchia paragonabile al settore agricolo nel nord sviluppato.

La "fase eroica" dell’industrializzazione che stanno vivendo le economie asiatiche, con tutte le contraddizioni sociali e ambientali denunciate dal WWF, valutata quantitativamente, ci offre una risposta assai diversa dalla vulgata postindustrialista.

Tanto diversa che, proprio perché su scala da uno a quattro, gli equilibri sociali e ambientali del manifatturiero dei Paesi asiatici rischiano di essere devastati insieme a quelli commerciali.

Il “nuovo” e il “moderno”, vocaboli cari anche a sinistra, debbono innanzitutto definirsi rispetto all’ambito in cui i fenomeni avvengono e, conseguentemente, in questo ambito organizzarsi per l’analisi e per le soluzioni.

La certezza, invece, più che il dubbio, è che dopo il pensiero unico per il quale la politica si è fatta subalterna alle inerzialità dei mercati, ora si sia di fronte alla incapacità degli uomini organizzati a fronteggiare la più grande (e veloce) costruzione sociale dell’epoca attuale: la globalizzazione dell’economia.

E’ banale ma, il dato oggettivo per il quale ad una economia globalizzata non corrisponde una politica globalizzata allude all’apologo dell’apprendista stregone.

Non siamo al post-industriale, dunque! Siamo al post-politico. Viviamo cioè, dopo l’era nella quale l’uomo aveva tentato di governare i processi economici. E ora, se non ci riprova, a perdere non sarà solo l´ambiente.

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