[20/06/2008] Comunicati

Caselli (Irpet): Risorse naturali scarse ma ancora non si misurano

LIVORNO. Intervista a tutto campo economico/ecologico, in esclusiva per greenreport, con Renata Caselli (Nella foto) Dirigente responsabile Irpet di area "Imprese, settori produttivi e ambiente".

Partiamo dalla considerazione relativa al posizionamento della Toscana nelle classifiche del Pil e in quelle della qualità della vita. Nella prima siamo molto più indietro che nella seconda: non è una evidenza empirica che il Pil non misura la qualità della vita?
«Il Pil non è una misura della qualità della vita, a prescindere dai posizionamenti nelle classifiche citate. Il PIL misura la capacità di un paese (o di una regione) di produrre beni e servizi da destinare alla domanda finale. E’ un buon indicatore della capacità di un sistema di creare nuova ricchezza e perciò un fattore importante di determinazione della qualità della vita. Un buon reddito consente alle famiglie di rispondere meglio ai bisogni privati ed è fondamentale per garantire una buona capacità di gettito alle amministrazioni pubbliche che, attraverso le politiche fiscali, possono rispondere adeguatamente all’esercizio di funzioni e servizi di pubblico interesse, compresa la difesa dell’ambiente. Certamente oltre al PIL vi sono altre condizioni di determinazione della qualità della vita: le forme di organizzazione sociale, il livello d’istruzione, il patrimonio ambientale e artistico, le preferenze di consumo e investimento, i modelli di governance territoriale, le politiche pubbliche. In Toscana, molti di questi fattori hanno giocato positivamente favorendo un buono stato ambientale e una buona coesione sociale. Altri sono piuttosto controversi; si pensi ad esempio alle scelte di consumo che rispondono certamente alle preferenze individuali ma non sempre ai paradigmi di qualità di vita e ambiente considerati meritori a scala sociale (ciò che fa felice un individuo non sempre è coerente con il bene pubblico). I fenomeni economici, sociali, ambientali che vogliamo misurare sono complessi e spesso si tenta di ridurli a indicatori semplici per poter fare dei confronti».

Non crede che sia venuto il tempo per dare, anche alla discussione sulla sostenibilità dello sviluppo, almeno le stesse basi metriche di valutazione della crescita del Pil? Ovvero, perché l´Irpet non si dà indicatori di contabilità ambientale e, anzi, non li propone alle amministrazioni toscane?
«Si, credo che sia auspicabile l’individuazione di basi comuni per misurare i fenomeni ambientali. Purtroppo non è semplice. Oggi le informazioni disponibili sui fenomeni ambientali sono ben più numerose che in passato e questo è un bene perché contribuisce a far conoscere i problemi dell’ambiente. Resta a mio avviso la difficoltà di rappresentare i processi di interazione tra attività economica e degrado ambientale.... Noi abbiamo scelto di affiancare alla rappresentazione dell’attività economica dei settori produttivi e delle famiglie la rappresentazione delle pressioni originate da quelle stesse attività e abbiamo seguito un metodo proposto da Eurostat e adottato da ISTAT a scala nazionale. E’ utile ed interessante perché ci consente di associare a ogni scenario socioeconomico il corrispondente effetto in termini di inquinamento dell’aria o di uso di risorse naturali.
Riguardo al livello locale credo che siano numerose le esperienze di rappresentazione dei fenomeni ambientali attraverso batterie di indicatori più o meno condivisi. L’IRPET stesso qualche hanno fa ha prodotto un rapporto sulle pressioni ambientali a scala locale.
La difficoltà nel definire un approccio comune deriva dalla frammentarietà e dall’eterogeneità delle fonti, dalla discontinuità e dall’incompletezza che spesso le caratterizza. Resta poi la difficoltà di rappresentare i dati ambientali secondo le stesse basi metriche utilizzate nella valutazione della crescita economica: i diversi approcci fino ad oggi analizzati (l’ISEW o il Genuine Progress Indicator, il PIL verde...) si sono rilevati molto incerti e non hanno trovato la approvazione della comunità scientifica.
Con riferimento poi agli interventi sull’andamento economico congiunturale della Toscana, va segnalato che lo scopo di queste analisi è semplicemente quello di dare segnali di adattamento o di reazione del sistema economico regionale (compito proprio e storico dell’IRPET). Il monitoraggio delle dinamiche congiunturali delle pressioni ambientali, dello stato dell’ambiente e del relativo impatto sono demandate ad altri Istituti (ARPAT, LAMMA...) che hanno la strumentazione adatta per realizzarlo. Le valutazioni sulle pressioni che l’IRPET fa riguardano piuttosto l’assetto strutturale dell’interazione tra ambiente ed economia regionale, e quindi i problemi connessi allo sviluppo del sistema regionale, all’evoluzione del benessere dei toscani. L’ambiente è certamente una componente essenziale di queste valutazioni che in molti casi attengono però al medio-lungo periodo».

E´ certamente vero che, se c´è quantità ci può essere anche la qualità ma che il contrario non è possibile, tuttavia ciò non risolve il nodo dei limiti fisici allo sviluppo. Il consumo del territorio è uno di questi.
Per essere espliciti, non è detto, anche senza i Monticchiello, che anche un consumo di qualità, riferito al territorio non debba avere limiti. Non crede che l´Irpet potrebbe avere un ruolo nel definire questi limiti e
permettere così una discussione più concreta?

«La ragione per cui abbiamo scelto l’approccio della contabilità ambientale da affiancare alla contabilità economica è proprio questa. Se noi consideriamo che il sistema economico si inserisce in un più ampio sistema ecologico dal quale preleva risorse naturali e verso il quale emette sostanze inquinanti, rifiuti o risorse degradate, allora conoscendo bene i comportamenti del sistema economico potremmo esplicitare questi processi di prelievo-emissione, anche in relazione a ipotetici scenari evolutivi, per dare una misura dinamica delle pressioni e quindi un’indicazione dell’ecoefficienza dei processi (prima ancora che di sostenibilità). In altri termini puntiamo ad associare alla crescita economica i corrispondenti effetti di degrado; ancora misuriamo poche cose, ma quello avviato è un work in progress».

Conservare e trasformare sono un binomio inscindibile della sostenibilità sociale e ambientale. L´orientamento alla ricerca e alla innovazione, anche in Toscana, è quasi esclusivamente finalizzato ai prodotti e quasi per nulla ai processi. Sul risparmio e l´efficienza nell´uso dell´energia qualcosa si è detto e fatto, sul consumo di materia non si è né detto né fatto. Non crede che anche su questo versante (del consumo di materia ) debbano essere adottati indicatori, analogamente a quanto ha fatto l´Istat, e monitorati i flussi? Non crede che gli indicatori sui rifiuti (ancorché larghissimamente opinabili e imprecisi almeno per quanto riguarda gli speciali) siano assolutamente insufficienti a rappresentare ciò che accade con i flussi di materia?
«Assolutamente si. Misurare la quantità e la qualità dei rifiuti, delle sostanze inquinanti in aria, in acqua e nel suolo è importantissimo ma non ci si deve fermare lì (e si tenga conto che quelle misure non sono così semplici!). Sarebbe certamente utile misurare il flusso di materie e qualche passo in tale direzione l’abbiamo fatto (ad esempio in riferimento al prelievo di risorse naturali vergini). L’impostazione metodologica del nostro sistema di contabilità è adatto a questo tipo di approccio; tuttavia è necessario fare un lavoro minuzioso che renda coerente l’approccio di rappresentazione dei flussi con quello adottato da Eurostat e ISTAT. Una linea di intervento sulla quale siamo impegnati è quella della rilevazione e costruzione di informazioni che consentano di ampliare la batteria di indicatori e l’analisi delle relazioni tra sistema socio economico e ambiente, ivi compresa l’analisi dei flussi di materia».

E infine, non pensa che l´economia degli anni 2000 o è ecologica (cioè sostenibile e durevole) o è destinata a segare il ramo su cui siede?
«L’economia è lo studio dell’allocazione di risorse scarse tra usi alternativi. Oggi la consapevolezza della scarsità, della limitatezza, della non riproducibilità quantitativa e/o qualitativa di molte risorse naturali è diffusa. In passato invece questa consapevolezza è stata molto scarsa almeno tra gli economisti che solo da qualche decennio si pongono il problema di se e quanto la produzione possa “crescere”. Personalmente credo che l’economia sia comunque il riflesso della società, dei rapporti di forza tra i gruppi di interesse in essa presenti, comunque un modo (uno strumento) per rappresentare l’interazione tra gli operatori. Avere uno strumento che rappresenti bene le opportunità e le criticità del nostro mondo è essenziale. Ma il problema principale non è come l’economia rappresenta la società ma come la società si pone rispetto all’ambiente. A quali consumi si è disposti a rinunciare? Se il sistema dedicasse più risorse alla ricerca e all’innovazione per la sostenibilità invece che a beni e servizi voluttuari le cose potrebbero cambiare più rapidamente, ma in definitiva è il mercato che orienta le risorse cioè il volere degli uomini.....(gli economisti registrano e tutt’al più suggeriscono risposte)».

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