[23/06/2008] Monitor di Enrico Falqui

In memoria di Aurelio Peccei

FIRENZE. Alla fine degli anni ’70, apparvero in Italia una serie di ricerche definite “studi del futuro”, ai quali avevano partecipato persone come Robert Jungk, Johan Galtung, Bernard De Jouvenel. In particolare quest’ultimo aveva fondato in Francia, insieme a Gaston Berger un centro studi sulle prospettive di sviluppo e di società nei vari Paesi, denominato “Futuribles”: agli inizi degli anni ’60, in Europa, si manifestava un formidabile fervore di idee per costruire una società nuova dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale.
Queste idee filtrano in Italia attraverso l’opera di Aurelio Peccei e Pietro Ferraro, un manager veneziano “illuminato”, eroi della Resistenza contro il nazifascismo nelle file di “Giustizia e Libertà”.
Ferraro fonda la rivista “Futuribili” dove raccoglie il dibattito culturale che avviene nell’omonima rivista francese, raccogliendo intorno a questo cenacolo letterario pensatori italiani come Sergio Cotta, Valerio Tumini e Giorgio Nebbia.

Aurelio Peccei, di cui in questi giorni si celebra il centenario della sua nascita (1908)era un torinese puro sangue, e dopo aver conseguito la laurea in economia, si era trasferito nel 1930 a Parigi, dove approfondì i propri studi all’Università della Sorbona. Pochi sanno che fu uno dei fondatori della società Alitalia e che ha vissuto 10 anni in Argentina come manager commerciale della FIAT in America Latina fino al 1958, quando fondò la Italconsult, una joint-venture tra i più famosi marchi d’auto italiane (Innocenti, Montecatini, FIAT). Nel 1964 divenne amministratore delegato della Olivetti, riuscendo a far diventare quest’azienda leader indiscussa nella produzione delle macchine da ufficio.

E’ proprio questa attività di imprenditore e di manager di gruppi economici all’epoca di avanguardia, che permette a Peccei di confrontarsi con le esperienze dei grandi mutamenti dell’economia e della tecnologia nei vari Paesi del Mondo. Di qui egli trae la linfa necessaria per concepire un ruolo moderno del manager d’impresa che, negli anni successivi, non farà molti proseliti nel suo campo.

«Viaggiando per il mondo, (scriveva Peccei nel 1964, quattro anni prima della fondazione del Club di Roma) ho preso coscienza che i problemi per cui la gente lottava, spesso con scarso successo, sarebbero diventati ancor più complessi e minacciosi negli anni a venire».
Aurelio Peccei amava definirsi anche «a hopeless generalist» (un irrimediabile generalista) poiché preferiva dedicare le sue forze a migliorare di un millimetro il livello di vita generale piuttosto che a risolvere un problema specifico in un sol campo e in un sol luogo.
Claire Sterling, la celebre giornalista che lo intervistò per il “Washington Post” , nei primi anni ’70, scrisse che la dote che più l’aveva colpita era quella attitudine di Peccei ad estrarre da ognuno quanto di meglio esso fosse in grado di offrire.

Peccei aveva la convinzione profonda, oggi quasi totalmente estinta tra gli imprenditori italiani, che le persone sono le migliori risorse di qualsiasi azienda e non si stancava di ripetere ai suoi collaboratori : « ..man mano che il nostro mondo cresce e si fa sempre più complicato e turbolento, dobbiamo tornare a concentrarci sulla rivoluzione umana di ciascun individuo».
In un suo discorso pronunciato durante la sua permanenza in Argentina, per ricostruire la presenza commerciale della FIAT in America Latina, Peccei mette a fuoco la propria visione dello sviluppo del mondo affermando che il problema cruciale per l’Uomo contemporaneo è quello di non perdere il controllo del futuro. «…La civilizzazione della quale siamo così orgogliosi, non solo idolizza l’uomo e lo esalta come padrone del Mondo, se non dell’Universo intero, ma anche perdona qualsiasi cosa che l’uomo faccia per asserire il suo primato e giustifica ogni mezzo per arrivare a questo fine».

In queste parole, espresse nel 1964 (circa dieci anni prima che venisse pubblicato il celebre rapporto dell’MIT di Boston “The limits of growth”), è sintetizzato il pensiero che sta alla base della fondazione del Club di Roma nel 1968.
Peccei afferma che il problema drammatico del futuro dell’uomo non riguarda la quantità delle risorse disponibili per lo sviluppo, bensì l’uso che facciamo delle risorse naturali, pensando che esse siano infinitamente disponibili.La voce del Club di Roma, la visione di Aurelio Peccei e, dopo la sua morte(1984), quella di Alex King, scienziato scozzese, ebbero una grande risonanza nel mondo internazionale, sia a livello economico che politico, tanto da indurre M. Gorbacev a ricordare che tale pensiero ha influenzato la stessa teoria della “Perestroika”, con la quale si accese un nuovo clima politico tra Est ed Ovest.
Ma l’influenza più grande del pensiero di Aurelio Peccei è stato quello esercitato sulla cultura ambientalista mondiale, dalle cui idee hanno attinto tutti i movimenti eco-pacifisti sorti dopo gli anni 70.

Nel 1972 Aurelio Peccei fondò l’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) con sede a Vienna(Austria) nel quale dette vita a una straordinaria attività di ricerca interdisciplinare per scoprire l’impatto dei cambiamenti globali generati dall’Uomo nel campo ambientale, economico, tecnologico e sociale.
L’originalità di questo Centro di eccellenza, nella ricerca del nesso tra Ambiente-Sviluppo nella sua dimensione globale, consiste nel fatto che per la prima volta si riconosce la “ centralità” dell’ambiente sia come fattore limitante dello sviluppo sia come fattore che può destabilizzare in modo irreversibile l’economia globale.
Ancora oggi, la IIASA costituisce uno dei fondamentali “incubatori di cervelli” ( vi lavorano circa 200 scienziati di varie discipline) necessari ai governi dei vari paesi del Mondo per varare gli accordi internazionali e i protocolli di intesa per tutte le questioni strategiche dello sviluppo globale.

Fu proprio in questo formidabile centro di ricerca, dopo la pubblicazione del Rapporto Bruntland della commissione ONU (1983), che presero forma le teorie sulla sostenibilità ecologica dello sviluppo.
Anche Peccei era convinto che la sostenibilità dello sviluppo dovesse essere raggiunta incrementando la resilienza del sistema globale.
In uno dei suoi ultimi scritti “Agenda per la fine del secolo” del Club di Roma, Aurelio Peccei non si stancava di sottolineare l’impressionante aumento della popolazione umana sul Pianeta e “….le relazioni ormai logorate tra la nostra specie e il suo ambiente naturale”.
Per questi motivi, egli avvertiva, al tempo stesso con preoccupazione ma anche con una straordinaria dote di ottimismo, che “un’era sta tramontando e una nuova è all’orizzonte, mettendo l’umanità di fronte a una serie di alternative radicali “.

La sfida maggiore che stiamo affrontando oggi è il riconoscimento di quanto fosse anticipatrice e preveggente l’opera e le intuizioni che Aurelio Peccei preconizzava per il futuro, ricercando una “governance mondiale” che ancora oggi non c’è ma di cui tutti avvertono la necessità, essendo ormai debole il ruolo che ONU, FAO e UNESCO svolgono oggi per risolvere i drammatici problemi dello sviluppo a livello globale, primo fra tutti, quello della povertà.
Oggi più di ieri aveva ragione Aurelio Peccei quando indicava per il futuro la necessità di ridurre la povertà estrema e aumentare l’agricoltura nei paesi in via di sviluppo in modo sostenibile. La popolazione mondiale non ci farà sconti e fino al 2040 continuerà a crescere a livello globale e in valore assoluto.

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