[24/06/2008] Consumo

La crisi, la globalizzazione dei mercati e la zattera

LIVORNO. Per abituarsi a stare sul palco agli studenti di teatro si fa fare un esercizio chiamato della “zattera”: gli attori si posizionato lungo i quattro lati di una stanza e immaginano di dover salire sulla zattera cercando gli equilibri tali da non farla ribaltare. Sembra facile, ma non lo è perché più che guardare dove sono gli altri, devi percepirlo come capita di dover fare quando si è in scena. L’immagine del precario equilibrio della ‘zattera’ viene in mente osservando il dibattito sulla globalizzazione dei mercati e le varie ricette per uscire dalla crisi economica mondiale con venti di recessione spesso virtuali, tifoni reali con fame del mondo accresciuta come mai da decenni e prezzo del petrolio alle stelle stressato dalle speculazioni. Un dibattito – perché di azioni manco a parlarne - talvolta parossistico ma che nella realtà evidenzia, come dicevamo nell’editoriale di ieri di Lucia Venturi, «l’incontrollabilità della economia finanziaria globalizzata, che procede in maniera assolutamente divergente rispetto all’economia reale, pur avendo su queste effetti dirompenti».

Che c’è di nuovo? Che le speranze (anche le nostre) legate a un’Europa forte in grado di fare da leader mondiale (o da poliziotto come vorrebbe qualcuno) ristabilendo un minimo di regole al mercato e alla sua finanziarizzazione stanno sciogliendosi come neve al sole e ancor più dopo il colpo al Trattato di Lisbona inflitto dall’Irlanda. Non solo, dopo le dichiarazioni d’amore al mercato del candidato alla Casa Bianca Barak Obama, scricchiolano pure le speranze di cambiamento di politica economica degli Usa. Segnaliamo sul tema l’intervento di Guido Gentili sul Sole 24 Ore di oggi “Globalizzazione in crisi, serve una Ue più forte”; l’articolo del filoso, storico e sociologo tedesco Jürgen Habermas su Repubblica “L’economia che unisce e la politica che divide” e infine “Obama e i cattivi maestri” di Naomi Klein sull’Espresso.

«Una certa idea della globalizzazione ‘salvifica’ – dice Gentili – è sotto attacco. La Merkel, osservando gli effetti devastanti della crisi dei subprime, ha criticato duramente il ‘cartello fallimentare’ e solo apparentemente indipendente costituito da Moody’s, Standard&Poor’s e Fitch auspicando un’agenzia di rating targata Ue. Sarkozy ha stigmatizzato l’approccio troppo liberista del commissario europeo inglese Mandelson al Doha Round. Sul fronte opposto – prosegue – il premier inglese Gordon Brown insiste nel chiedere che le imprese europee si aprano ai capitali dei ‘fondi sovrani’ anche per ottenere dai Paesi produttori di petrolio un aumento della produzione. Già, ma che cosa può accadere se i Paesi emergenti, meridionali e asiatici, diverranno sempre più i fornitori di capitali dell’Europa? (…) E’ lecito domandarsi ‘di chi sia il mercato europeo’ in realtà e quali effetti, anche culturali, potrà avere un’eventuale ‘colonizzazione’ finanziaria». La ‘zattera’ traballa assai, dunque, e ogni Stato salta e spera (forse) che non si ribalti.

Ancora più spietata è l’analisi di Habermas che sentenzia «Le tristi immagini di Brown, Sarkozy e Merkel, principi lillipuziani che fanno anticamera ciascuno per conto proprio per incontrare il presidente Bush, dimostrano che l’Europa sta dicendo addio alla ribalta mondiale». «I problemi del cambiamento climatico – spiega il filosofo tedesco – della drastica caduta del livello di benessere, dell’ordine economico mondiale, della violazione dei diritti umani fondamentali, della lotta per risorse energetiche sempre più scarse riguardano tutti e in egual misura (…). Un’Europa in grado di agire, non dovrebbe forse mettere sul piatto della bilancia, nel proprio interesse, tutto il proprio peso per contribuire ad acquietare politicamente e dal punto di vista del diritto dei popoli la comunità internazionale? L’Europa – aggiunge - non può non pretendere di avere un peso politico equivalente al proprio peso economico perché i suoi governi non sono concordi sull’obiettivo dell’unificazione europea». Europa debole, dunque, e divisa o forse debole perché divisa; Usa in stand by fino alle elezioni; Cindia dominatrice dei mercati senza regole e all’insegna dell’insostenibilità sociale e ambientale.

Ma come accennavamo prima, anche dall’America del Nord non arrivano segnali incoraggianti ammesso e non concesso che poi sia veramente Obama a vincere le elezioni. Scrive Naomi Klein: ««L’amore di Obama per il mercato e il suo desiderio di ‘cambiamento’ non sono intrinsecamente incompatibili. ‘Il mercato è ormai sbilanciato’, ha detto, e non c’è dubbio che in gran parte lo sia. Molti attribuiscono la causa di questo profondo squilibrio alle idee di Milton Friedman, che lanciò una controrivoluzione rispetto al New Deal della sua cattedra di economia all’Università di Chicago. E qui il problema si complica poiché Obama – che ha studiato legge nello stesso ateneo per un decennio – ha una mentalità fortemente influenzata dalla cosiddetta Scuola di Chicago».

Insomma, dimmi chi sono i tuoi amici, e collaboratori, e ti dirò chi sei. Ma non finisce qui perché l’autrice di No Logo svela che uno dei più grandi ammiratori di Obama è Kenneth Griffin, presidente di uno «spregiudicato fondo speculativo del Citadel investment group». La questione però è non è che lo ammiri, ma che da lui Obama «ha ricevuto il più alto contributo finanziario consentito dalla legge alla sua campagna elettorale». Dimostrazione che aver rifiutato i soldi pubblici come ha annunciato Obama non spazza via i retropensieri, visto che ora viene il forte dubbio che Obama debba avere un minimo di ‘riverenza’ nei confronti di uno come Griffin al momento in cui dovesse sedersi nella mitica stanza ovale.

Se le ultime pennellate al quadro – che assomiglia molto a “L’Urlo” di Munch – le facciamo ricordando quando Onu, Fao e compagnia cantante abbiamo perso in termini di governance mondiale, in punta di metafora azzardiamo sentite preoccupazioni per la zattera/pianeta.

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