[25/06/2008] Rifiuti

Rifiuti delle navi, oggi l´udienza alla Corte di giustizia europea

LIVORNO. L’Italia è venuta meno ai suoi obblighi comunitari perché ha omesso di elaborare e adottare per ciascun porto i piani di raccolta e gestione dei rifiuti prodotti dalle navi e residui di carico?
Di questo la Commissione Ue e lo Stato italiano hanno discusso nell’udienza di oggi presso la Corte di Giustizia europea.
Con il ricorso del 2 agosto 2007 la Commissione infatti ha denunciato la mancata attuazione della direttiva europea 2000/59 (recepita in Italia con il Dlgs 182/2003) relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico.
Una direttiva che ha l’obiettivo di ridurre gli scarichi in mare dei rifiuti da parte delle navi che utilizzano porti situati nel territorio della Comunità per una maggiore protezione dell’ambiente marino. Una protezione che può essere anche raggiunta migliorando la disponibilità e l’utilizzo di impianti di raccolta e attraverso il regime coercitivo: ovvero adeguati impianti portuali di raccolta dovrebbero essere in grado di soddisfare le esigenze degli utenti, dalle navi mercantili di maggiori dimensioni alle più piccole imbarcazioni da diporto.
Ma trattandosi di una direttiva, l’Unione europea lascia agli Stati membri la facoltà di stabilire gli strumenti di attuazione che meglio si adattano al proprio sistema interno.
L’azione intrapresa a livello comunitario è sicuramente lo strumento più efficiente per garantire norme ambientali comuni applicabili a tutte le navi (a prescindere dalla loro bandiera) e ai porti di tutta la comunità proprio perché l’inquinamento marino ha implicazioni transfrontaliere. L’attuazione richiede però un intervento ulteriore da parte dei singoli Stati. Tanto è vero che il legislatore comunitario lascia ai membri Ue un’ampia libertà quanto all’organizzazione migliore per la raccolta dei rifiuti. Inoltre consente ai Paesi di prevedere impianti fissi di raccolta oppure di designare prestatori di servizi incaricati di fornire ai porti unità mobili per la raccolta dei rifiuti quando necessario. E ciò comporta non solo l’obbligo di redigere i piani di gestione ma anche l’obbligo di fornire tutti i servizi e/o di adottare le altre disposizioni necessarie per l’uso corretto e/o adeguato degli impianti in questione. Non è detto però che con la redazione dei piani e con l’attivazione degli impianti il problema dei rifiuti e del conseguente inquinamento marino si risolva del tutto: molto spesso le navi non dichiarano gli scarti come rifiuti, non compilano la documentazione ad hoc e non consegnano il rifiuti agli impianti.
L’Italia quindi sarebbe colpevole di non aver messo in pratica quanto recepito con il decreto 182/2003 che stabilisce precisi obblighi per comandanti di navi, autorità portuali e gestori dell’impianti di raccolta dei rifiuti, al fine di ridurre gli scarichi in mare dei rifiuti prodotti dalle navi. Le regole evidentemente non rispettate riguarderebbero tutti i natanti (tranne le navi militari, quelle possedute e gestite dallo Stato ai fini non commerciali, quelle esercenti servizi di linea) che operano nei porti dello Stato italiano, indipendentemente dalla bandiera di appartenenza.
La Repubblica italiana comunque si difende dell’accuse della Commissione e segnala che il recepimento della direttiva nel diritto interno è avvenuta con il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182; che la gestione di ciascun porto incombe alle autorità marittime o agli enti pubblici portuali, (i quali a tal fine adottano le ordinanze delle capitanerie di porto ovvero le ordinanze degli amministratori degli enti pubblici portuali) e che l’approvazione dei piani di raccolta e di gestione dei rifiuti rientrerebbe tra le competenze delle autorità regionali.
Aggiunge anche che tutte le autorità portuali italiane avrebbero recepito la direttiva in tempo utile, soprattutto mediante ordinanze delle capitanerie di porto. Ammette però che la predisposizione di una pianificazione specifica, in collaborazione con le autorità locali e con la regione, ai fini del successivo corretto smaltimento dei rifiuti, avrebbe incontrato momenti di difficoltà sia nella fase di elaborazione che in quella di approvazione. E afferma che in tale contesto, in attesa dell’adozione dei piani di raccolta e di gestione dei rifiuti, questi ultimi sarebbero stati raccolti e gestiti nei porti italiani sulla base di dette ordinanze.
Adesso sta alla Corte europea dirimere la questione. Intanto l’organo comunitario ha deciso di rimettere gli atti alla Settima Sezione e di giudicare la causa senza conclusioni.

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