[26/06/2008] Energia

Eolico, il segreto del boom cinese? Il wind power pricing regulation

LIVORNO. La Cina si sta caratterizzando per essere il paese dei record, in negativo e in positivo. Pochi mesi per trasformare aree agricole in centri urbanizzati, palazzi che salgono un piano al giorno, la più grande diga costruita al mondo (quella delle tre gole), crescita economica esponenziale al pari dei danni ecologici prodotti e grande necessità di energia per far fronte a questa rivoluzione che in pochi anni ha portato il paese asiatico ad essere uno dei colossi economici mondiali, che entro il 2015 sarà, con ogni probabilità, anche il più grande consumatore mondiale di energia.

La Cina soddisfa questo suo incalzante fabbisogno energetico ancora per il 70% con il carbone e il 25% con il petrolio ma ha l’obiettivo di produrre il 15% dell’energia tramite fonti rinnovabili al 2020. E se forse l’Europa farà fatica a tenere fede ai propri obiettivi del 20% da rinnovabili alla stessa data, c’è da scommettere che invece la Cina ce la farà e forse farà anche di più (vedi altro articolo di greenreport tra i link). La gran parte di queste rinnovabili sono già costituite dal settore eolico che - secondo i dati recentemente resi noti dal World Watch Insitute - ha fornito nel 2007 6 Gw di potenza (obiettivo previsto per il 2010), dovrebbe arrivare a 30 Gw, (traguardo posto per il 2020) già nel 2012 e addirittura a 80 Gw nel 2020. Uno sviluppo del settore dunque che stupisce gli stessi pianificatori cinesi che hanno rivisto al rialzo gli obiettivi per i prossimi anni. Un processo a tappe forzate, che ha preso avvio nel 2005 quando il governo comunista ha approvato la legge sull’energia rinnovabile rivelatasi talmente efficace da consentire di raggiungere i 6 Gw eolici installati in poco meno di due anni, portando la Cina al quinto posto nella classifica eolica mondiale.

Una delle misure alla base di questo successo è il wind power pricing regulation, un meccanismo di offerta competitiva per determinare il costo dell’energia eolica, affiancata da gare di appalto con l’esclusione delle offerte troppo basse che sarebbero di ostacolo allo sviluppo futuro dell´eolico in Cina. In via parallela all’aumento della potenza eolica si è registrato anche un importante incremento sul fronte manifatturiero, grazie ad una clausola che lo stato pone all’approvazione dei progetti: almeno il 70% dei componenti delle turbine deve essere stata prodotta da aziende cinesi. La capacità produttiva di turbine “made in China” ha superato l’anno scorso i 3 Gw e dovrebbe essere raddoppiata nel 2008 riuscendo comunque appena a soddisfare il fabbisogno nazionale per i nuovi impianti. Ma si prevede già che entro il 2012 si riuscirà ad ottenere una capacità produttiva per 10 - 15 Gw facendo della Cina anche un grande esportatore di impianti eolici.

Nell’elenco dei maggiori produttori di turbine con sede in Cina, stilato dal rapporto del 2007 della China wind energy association, spicca la cinese Goldwind in testa con il 25,4 per cento del mercato, seguita dalla spagnola Gamesa (17,7 per cento) e dalla danese Vestas (14,5). La quarta è ancora cinese: la Sinovel con il 12,8, poi vengono General Electric (Usa, 8,3 per cento), Dec (Cina, 4 per cento), Suzlon (India, 3,7 per cento), Nordex (Germania, 3,1 per cento), NEG Micon (Usa, 2,6 per cento) la joint venture CASC-Acciona (1,7 per cento).

Il settore su cui si punta adesso è l’eolico off-shore, che sicuramente è più costosa come tecnologia rispetto a quella a terra ma offre il vantaggio di una capacità potenziale tripla. E mentre l’Italia pensa e pianifica di tornare al nucleare e vuole investire risorse per studiare tecnologie di nuova generazione, la Cina sembra aver capito che l’energia eolica è assai più competitiva di quella prodotta non solo con l’atomo ma anche con le altre fossili, che ancora sfrutta ma che si attrezza a sostituire il prima possibile.

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