[27/06/2008] Rifiuti

Rifiuti nel piatto, quando la percezione va educata

FIRENZE. «La produzione di rifiuti continua a crescere nonostante la diminuzione del Pil». Sta in questa dichiarazione dell’Assessore all’ambiente della regione Toscana, Annarita Bramerini, il senso della necessità di agire sotto molteplici punti di vista nella gestione della filiera del ciclo dei rifiuti. In particolare, la domanda centrale appare questa: dove inizia la filiera? In quale momento del ciclo di consumo delle risorse e dei cicli biogeochimici si attiva quel ciclo secondario, ad esso connesso e in esso contenuto, riguardante la produzione, lo smaltimento, il riuso e il riciclaggio dei rifiuti?

Cerchiamo di chiarirlo con un esempio: supponiamo di aver appena pranzato, e di voler pulire il piatto dai residui alimentari. Gesto tipico, in questi casi, è svuotare i residui direttamente dal piatto nel cestino dell’indifferenziata, o dell’organico. E’ evidente che nel momento in cui il cibo è ancora nel piatto noi lo percepiamo come alimento, ed è altrettanto evidente che una volta che esso sia nel cestino, è da considerarsi e viene percepito come “rifiuto”. Quindi il processo di mutamento della nostra percezione (in cui la stessa materia da “cibo” diventa “rifiuto”) avviene durante la caduta del cibo nel cestino. C’è un momento preciso in cui quel cibo che sta cadendo nel cestino potrebbe ancora nutrirci, ai nostri occhi, e subito dopo un altro momento in cui quel cibo viene invece percepito come “monnezza”, da non toccare più. Quello che poco prima ci nutriva, poco dopo ci fa ribrezzo.

Questo processo è universale, vale cioè per tutti. Ciò che cambia, in attinenza alle diverse personalità individuali, è il momento in cui questo processo avviene: cioè ci sono persone che, nell’esempio citato, già percepiscono il cibo come rifiuto quando è ancora a contatto col piatto, altre che non lo percepiscono come tale finché non ha toccato i rifiuti contenuti nel cestino. E’ questo, quindi, un processo che si attua alla stessa maniera per tutti, ma in tempi diversi a seconda delle percezioni individuali.

Ma la materia, come abbiamo detto, è la stessa, sia prima sia dopo la caduta nel cestino. Si tratta quindi di considerare il problema come legato alla sola percezione. Ma essendo la percezione un processo attivo, cioè funzionante in modo diverso nei singoli a seconda delle loro aspettative, dei loro ricordi ecc, essa è passibile di orientamento, attraverso processi di educazione e di informazione dettagliata della popolazione.

L’obiettivo è diffondere consapevolezza e, come detto, in ultima analisi educare. Educare chi? Educare noi stessi a considerare il rifiuto come semplice parte del ciclo degli elementi. Educarci a considerare il package un semplice, inutile abbellimento dell’unica cosa che conta, e cioè il contenuto e non il contenitore. Educarci a percepire il momento dell’acquisto di un bene come momento di acquisizione di un prodotto di trasformazione di una risorsa limitata, e non come momento di rigenerante shopping, in sostanza.

E questo, forse, è il principale vantaggio del metodo “porta a porta”: riacquisire la cultura del rifiuto, come auspicato ieri al convegno di Montespertoli da Publiambiente. Per recuperare per lo meno (in attesa di una ridefinizione degli indicatori di crescita economica) quella relazione diretta tra Pil e produzione di rifiuti che oggi, in Toscana, non vale più. Una civiltà che diventa più povera, ma che intanto produce più rifiuti di prima, è una civiltà al crepuscolo.

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