[01/07/2008] Consumo

Crisi mondiale e assenza di governance: cui prodest?

LIVORNO. L’inflazione corre a giugno al 3,8% su base annuale. L’economia non cresce e Confindustria segnala una fase di stagnazione. Crescono invece i prezzi, dalla pasta alla benzina passando per gli ortaggi e i trasporti e calano i consumi. I titoli dei giornali (e non solo) ci dicono dunque che anche in Italia è arrivata una delle spire del serpente della crisi mondiale che è partita in America con i mutui subprime e si sta mano a mano dipanando nel resto delle economie del pianeta. Una crisi che ha «profonde radici nell’economia reale come nel settore finanziario» come sottolinea il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, che ha finalmente ammesso che la «situazione è critica». E, potrebbe anche peggiorare, come hanno evidenziato ieri i banchieri centrali d’Europa riuniti a Basilea, facendo intravedere un futuro da brivido nel dichiarare che «l’entità dei problemi a venire potrebbe essere ben maggiore». Ponendo quindi già in conto la possibilità di una recessione vera e propria, come coda del serpente.

La conseguenza che ci si aspetterebbe, dati tutti questi segnali, sarebbe allora che da parte del sistema economico, che ancora si divide sul fatto tra chi sostiene che la crisi è soprattutto speculativa e quindi la conseguenza dell’aver affidato il futuro ad una economia virtuale, che riesce a bruciare in pochi istanti miliardi di dollari in qualche borsa, e chi sostiene che la vera causa è data da una crescente domanda cui il sistema si deve ancora adeguare, ci si interrogasse sulle radici profonde di questa crisi e che si tenesse in conto che l’economia reale si basa su fattori del tutto materiali. Che si chiamano materie prime ed energia, e che anche quest’ultima- fondamentale per far girare l’economia- è ancora del tutto legata alla materie prime. Quindi se cominciano a scarseggiare le prime, diventa problematico garantire i fabbisogni energetici che l’economia (così impostata) esige. E se anche non vi fossero state le accelerazioni dovute alle speculazioni finanziarie, tutto questo castello sarebbe comunque destinato a sgretolarsi come sabbia al sole.

Le discussioni attorno a cui i banchieri e gli economisti paiono interrogarsi (o che almeno si leggono come report) sembrano però più orientate a stabilire se è meglio abbassare i tassi o se questa non sia invece una scelta miope. Perché l’unico obiettivo che intravede e che anima le discussioni di economisti e istituzioni, è quello di far ripartire la crescita economica impostata sempre secondo il criterio di produzione- consumo delle merci e quindi di aumenti percentuali di pil. Che è come dire che sapendo che il traguardo da raggiungere è cento chilometri più avanti intanto si mette benzina per accendere il motore e poi vediamo.

Ora, siccome sembrerebbe incredibile o addirittura presuntuoso pensare e quindi sostenere che nessuno si interroghi davvero sulle reali radici di questa crisi economica, viene da chiedersi se non vi sia qualche arcano motivo per cui non si faccia in maniera più pubblica e più dichiarata. Perché non si pone il problema della necessità di rivedere il paradigma economico della crescita basata sui consumi (delle materie prime, delle merci, dell’energia) spostandolo verso un sistema più capace di produrre benessere (immateriale più che materiale) senza consumare in materia dissipativa il capitale naturale su cui si basa e anzi capace di rigenerarlo e di farlo crescere (quello sì) al pari della conoscenza, anziché ragionare solo in variazioni percentuali di pil (spesso attorno ad uno zero virgola). Viene da chiedersi, allora, se questa assoluta assenza di approfondimenti sulle reali cause della crisi di un modello che dimostra da tutti i punti di vista, economico, sociale, ambientale, di essere arrivato al capolinea, non sia funzionale a qualche altro disegno perché attribuirlo solo ed esclusivamente ad una semplice miopia sarebbe (forse) addirittura più inquietante.

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