[01/07/2008] Comunicati

Pizziolo a greenreport: Mettiamo alla prova questa legge sulla partecipazione

FIRENZE. Docente di Analisi e pianificazione territoriale presso la facoltà di Architettura di Firenze, Giorgio Pizziolo (nella foto) è tra gli urbanisti che più si sono concentrati, negli ultimi anni, sul tema della partecipazione civica alle scelte urbanistiche e territoriali. A sei mesi dall’approvazione della l.r. 69/2007, prima normativa regionale ad aver affrontato organicamente il tema della partecipazione e ad aver introdotto concreti elementi di democrazia partecipativa, abbiamo cercato di fare un primo bilancio dell’applicazione della legge.

Professor Pizziolo, qual è la situazione della partecipazione in Toscana, a sei mesi dall’approvazione della 69/2007?
«Una situazione contraddittoria. Abbiamo una legge che tende a regolare la partecipazione, a incanalarla in norme molto rigide. Forse sarebbe stata più interessante una legge di promozione della partecipazione, che lasciasse spazi di incoraggiamento verso modelli non codificati: ciò non è proibito dalla legge attuale, ma nemmeno incentivato. La legge risente di una visione tutta istituzionale della partecipazione, in un certo senso uniformante: ma la partecipazione è ogni volta diversa, per diversi uomini dei vari tipi di società.
Inoltre, avendo tempi ristretti e fornendo modelli precostituiti, la legge rischia di ridursi a una specie di censimento. Sono perplesso anche sulla figura del garante, che ha troppo potere riguardo alla possibilità di bocciare le proposte dei cittadini. Comunque, al di là delle preoccupazioni, mettiamo la legge alla prova e verifichiamola sperimentalmente».

Quali esperienze in Toscana dopo l’approvazione della legge? Cosa può dirci dei percorsi partecipativi messi in atto in alcune realtà come Firenze, Castelfalfi, Montespertoli?
«A Castelfalfi abbiamo avuto un esempio di partecipazione condizionata, dove il parere dei cittadini è stato reso sostanzialmente vano in quanto le conclusioni sono state tratte dal garante. Ciò è inaccettabile, e se quella è partecipazione allora è meglio non farla. A Montespertoli il percorso partecipativo ha riguardato il piano strutturale, e ha consistito nell’identificazione delle invarianti strutturali in maniera partecipata. Ancora però il processo è in corso, vediamo cosa verrà fuori.
Per quanto riguarda Firenze, invece, è una tragedia. La partecipazione non esiste, ci sono solo pseudo-casi di pratiche partecipative, come le osservazioni al Piano strutturale, ma sono alimentate dalla burocrazia, con un percorso non trasparente. E la presenza di così tanti comitati e così agguerriti è indice della mancanza di dialogo. Finora a Firenze la partecipazione è stata usata solo per la ricerca di consenso, o per ratificare decisioni già prese: avviene un po’ come nel film “Berlinguer ti voglio bene”, in cui Carlo Monni chiede “può la donna superare l’uomo? No. Via al dibattito”. Pensiamo al caso limite della tramvia».

Pensiamoci. Partecipazione e infrastrutture, quindi…
«Per la tramvia fiorentina si è riscontrata un’assoluta mancanza di iniziative partecipative, anzi c’è stato uno scontro plateale. In quel caso i comitati non erano “contro”, volevano discutere i progetti e verificare le alternative. Poi c’è stato il referendum, ma anche dopo avere perso (sia pure di misura, e nell’invalidamento dato dalla bassa affluenza – 39,3%) i sostenitori del progetto non hanno aperto nessun confronto con i comitati. Anche sulla Tav non c’è stato nessun colloquio, abbiamo proposto il passaggio della linea in superficie ma non siamo stati ascoltati. Quindi, nemmeno presentando proposte alternative, e non limitandosi a dire “no”, si viene ascoltati: è il massimo della mancanza di partecipazione».

Chiudiamo con un suo parere sulla partecipazione del verde pubblico.
«E’ un punto fondamentale. Siccome normalmente sembra un lusso parlare del verde pubblico, ritengo che questi aspetti possano essere tra i più stimolanti nell’ambito delle pratiche partecipative. Ormai da 6-7 anni lavoro sull’idea che il paesaggio è un fenomeno sociale (mi riferisco anche alla Convenzione europea del paesaggio): dall’Europa arriva anche una concezione nuova del paesaggio, che in Italia stenta ad essere accolta, sia da coloro che dicono sempre “no”, sia da quelli che dicono sempre “si”.
Se la popolazione viene coinvolta in una idea di paesaggio come “ambiente di vita”, essa reagisce entusiasticamente. Può nascere una nuova dimensione/disciplina che chiamiamo “dei paesaggi partecipati”, e che punti non solo a prendere decisioni, ma che coinvolga i cittadini anche in ambiti inerenti la sola gestione del verde e del paesaggio».

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