[23/07/2008] Comunicati

Quanto costa la distruzione delle zone umide

LIVORNO. E´ iniziato il 20 luglio a Cuiabá, in Brasile, e si concluderà il 25, l´ottava Intecol, la Conferenza internazionale delle aree umide, che riunisce 700 ricercatori, rappresentanti della società civile e governanti di tutto il mondo che stanno discutendo di preservazione di questi ecosistemi che sono fortemente minacciati dalle attività umane.

Paulo Teixeira de Sousa, segretario esecutivo del Centro de pesquisas do Pantanal, che organizza il summit insieme alla Associazione internazionale di ecologia, all´università federale del Mato Grosso, al Sesc Pantanal, Banco do Brasil e governo brasiliano, spiega che le aree umide «regolano il ciclo idrogeologico, assorbono il carbonio, realizzano la purificazione dell´acqua, servono da protezione per il clima locale e regionale ed a controllare la temperatura, preservano la biodiversità, oltre a possedere una bellezza paesaggistica come pochi altri luoghi, offrono un´alta qualità della vita per le popolazioni locali».

Le minacce più gravi per le paludi e le zone umide sono la costruzione di dighe idroelettriche, di invasi idrici e di pozzi che emungono le falde, la piscicoltura, la costruzione di abitazioni nelle zone umide costiere, l´inquinamento prodotto da centri urbani, industrie e miniere. «Le conseguenze delle distruzione delle aree umide sono imprevedibili – dice Paulo Teixeira de Sousa - Vogliamo stimolare le ricerche su questi ambienti in Brasile e in America del sud ed anche sensibilizzare l´opinione pubblica e chi rende le decisioni».

Il tema più caldo della Conferenza è quello tra aree umide e crescita globale, secondo il ricercatore brasiliano «Industrializzazione, crescita disordinata delle città e deforestazione sono i fattori che contribuiscono alla distruzione delle aree umide e all´accelerazione del cambiamento climatico. Stiamo discutendo degli effetti di questa dinamica nel mondo intero e analizzando alternative di conservazione e recupero».

In molti Paesi il prezzo dello sviluppo è stata la sparizione di grandi aree umide, il risultato è stato quello di aver prodotto alterazioni climatiche e grandi costi economici. Si stima che le zone umide attuali imprigionino 771 miliardi di tonnellate di gas serra (cioè un quantitativo pari a quello attualmente nell´atmosfera), e la loro "bonifica" comporta ogni anno l´emissione di 40 tonnellate di CO2 per ettaro. Nonostante questo l´uomo ha ormai distrutto il 60% di zone umide del pianeta (ben il 90% di quelle europee) che comprendono paludi, mangrovieti, delta fluviali, tundra, torbiere, il 6% della superficie della terra, ma anche un "pozzo" naturale che assorbe il 20% del carbonio.

Wolfgang Junk del Max-Planck Institut per la biologia evolutiva sottolinea che «le zone umide agiscono da spugne e il loro ruolo di fonte, riserva e regolazione delle acque è largamente sottovalutato dagli agricoltori. Inoltre esse riescono a ripulire le acque da molti inquinanti organici, prevengono e attenuano le inondazioni dei fiumi, proteggono le zone costiere, riciclano nutrienti e catturano i sedimenti. E questo a dispetto del fatto che esse hanno un ruolo altrettanto importante quanto misconosciuto per gli equilibri ecologici. Alleggerire lo stress da inquinamento e da altre attività umane potrebbe migliorare la loro resilienza ai cambiamenti climatici e rappresentare una significativa strategia di adattamento a questi cambiamenti. La ricostituzione e la riabilitazione delle zone umide rappresenta infatti una alternativa realistica al controllo artificiale dei fiumi e agli sforzi di imbrigliamento che sarebbero necessari per fronteggiare i più frequenti e imponenti fenomeni di alluvione che si prevedono in un mondo più caldo. Si tratterebbe, inoltre, di un´alternativa anche economicamente conveniente, soprattutto per i paesi più poveri».

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