[29/07/2008] Comunicati

Doha Round: gong vicino, accordo lontano, economia ecologica non pervenuta

LIVORNO. E’ passata più di una settimana dall’avvio delle discussioni per arrivare alla chiusura del Doha Round a Ginevra e il rischio di un ennesimo fallimento sembra sempre più vicino. Passato anche il (relativo) momento di distensione ottenuto grazie all’intervento del direttore del Wto, Pascal Lamy (Nella foto), che aveva proposto un accordo che sembrava potesse essere un nuovo avvio di discussione, oggi a meno di 24 ore dalla prevista chiusura del negoziato, le distanze sembrano ancora più ampie.

Adesso è la Cina, che in precedenza aveva lasciato a India e Brasile l’iniziativa di fare da capofila al gruppone dei paesi ad economia emergente, che si pone in primo piano nella trattativa.
Forse anche per il fatto che sono nuovamente i capitali asiatici a dare soccorso e ossigeno alla finanza americana: proprio ieri Merrill Linch ha annunciato un piano per «ridurre significativamente l´esposizione al rischio e rafforzare la dotazione di capitale» che pensa di realizzare attraverso l’emissione di nuove azioni pari a 8,5 miliardi di dollari. Gran parte di queste azioni, l´equivalente di 3,4 miliardi di dollari, messe in vendita da Merrill Lynch dovrebbe comprarle la finanziaria Temasek Holdings, l´equivalente di un fondo sovrano controllato dal governo di Singapore. Una mossa che potrebbe spostare il baricentro dei punti di forza più a favore della Cina, e indebolire gli Stati Uniti.

Il nuovo asse di trattativa tra i due colossi che insieme costituiscono Cindia ha, proprio ieri, aperto un vero corpo a corpo con gli Usa, sulla riduzione delle tariffe doganali, e rischia di far naufragare per l’ennesima volta il Doha round. E con esso le speranze in seno al Wto di dare un ordine agli scambi commerciali lungo il globo, secondo il metro dei paesi ricchi.

A mantenere ottimismo è ancora una volta il direttore Lamy, che si dice convinto che la parte di accordi già raggiunti sia più importante dell´area di dissenso, e annuncia che ormai la «conclusione è imminente». Un ottimismo che pare più di facciata che legato a concrete possibilità di accordo.
Sono infatti molti i fronti su cui si discute e su cui ogni gruppo non sembra avere intenzione di cedere di un millimetro.

L’India difende il meccanismo della salvaguardia speciale che consentirebbe ai paesi in via di sviluppo di applicare dazi elevatissimi contro le importazioni alimentari, così da difendere l’agricoltura di sussistenza. Altro argomento in discussione su cui non si trova accordo riguarda il taglio ai sussidi ai produttori di cotone, su cui i paesi africani chiedono agli Usa di ridurre dell’82% gli aiuti ai propri produttori e loro rispondono, anziché con una controproposta, con la richiesta che anche alla Cina venga imposto di ridurre a sua volta i sostegni ai propri produttori.

A rischio anche la disputa sulle banane, che sembrava aver trovato uno spiraglio di soluzione, con la riduzione graduale dei dazi europei sulle importazioni latinoamericane, per la quale le ex colonie asiatiche, caraibiche e del Pacifico avrebbero ottenuto una compensazione dalla Ue.

In tutto questo difficile mosaico, anche l’Europa non intende farsi passare avanti: con l’asse Berlusconi-Sarkozy che sprona il mediatore europeo Peter Mandelson a non cedere sui prodotti mediterranei (su cui l’intesa sembra ormai raggiunta, sulla non inclusioni tra i prodotti tropicali per cui si prevede un drastico abbassamento dei dazi) e sulle indicazioni geografiche tipiche.
Insomma un difficile rompicapo e una immagine niente affatto edificante di come si vorrebbe arrivare a garantire scambi commerciali e che mette in evidenza quanto siano ancora profonde le divergenze tra Nord e Sud.

Ma quello che impressiona forse di più è soprattutto il fatto che mentre i Paesi ricchi che ormai cedono il passo vorrebbero essere ancora sul podio a dettare le regole, i paesi emergenti che hanno recuperato terreno sulle stesse orme degli altri vorrebbero utilizzare lo stesso metro. Senza rendersi conto né gli uni né gli altri che quel modello che rincorrono ognuno dalla sua parte è ormai obsoleto e che insistere su quella strada farà fare a tutti un percorso assai breve.

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