[05/08/2008] Rifiuti

Greenpeace: il Ghana anello della sporca catena dell´e-waste europea

LIVORNO. Un´equipe scientifica di Greenpeace, condotta dal campainer Kim Schoppink e dalla fotografa Kate Davison, è andata in Ghana per raccogliere le prove su quel che succede davvero ai nostri rifiuti elettronici ed ha scoperto che il Paese africano è una delle terre più massacrate dall´e-waste, che sta causando un vero e proprio disastro ambientale diffuso. «La nostra analisi dei campioni prelevati da due discariche di rifiuti elettronici in Ghana - spiegano a Greenpeace international - ha rilevato una grave contaminazione da sostanze chimiche pericolose».
La crescente domanda mondiale di telefonini all´ultima moda, televisori a schermo piatto e computer superveloci, ha come risultato la creazione di apparecchiature elettroniche obsolete, spesso piene di sostanze chimiche tossiche come piombo, mercurio e ritardanti di fiamma bromurati.

La verità è che gli europei preferiscono mandare i loro rifiuti elettronici in Africa "per riciclarli" invece di rispettare a casa propria la direttiva europea sull´e-waste o in Italia le nuove norme sui Raee. Questo avviene purtroppo anche carpendo la buona fede di qualche Onlus occidentale, che crede magari di inviare ai poveri computer ancora utilizzabili ma che, quando arrivano in Africa difficilmente vanno a finire nelle baraccopoli senza luce ed acqua e molto più facilmente finiscono sventrati e bruciati nelle discariche a cielo aperto. L´inchiesta "Shady e-waste trade" di Greenpeace porta le prove che i rifiuti vengono illegalmente importati in Ghana dall´Europa e dagli Usa e scopre la sporca catena che lega lo smaltimento di questi rifiuti e la contaminazione dell´ambiente e dei lavoratori africani.

«Nei "cantieri" i lavoratori non sono protetti - dice Greenpeace - in molti i bambini smantellano computer e televisori con poco più che pietre, in cerca di metalli che possano essere venduti. La plastica restante, i cavi e i telai vengono bruciati oppure semplicemente gettati via. Alcuni dei campioni prelevati contengono metalli tossici, tra i quali il piombo, cento volte superiori ai livelli limite. Altre sostanze chimiche, tra cui i ftalati, alcuni dei quali sono noti per interferire con la riproduttività sessuale, sono stati trovati nella maggior parte dei campioni esaminati. Un campione conteneva anche un elevato livello di diossine clorurate, note per essere cancerogene».

Kevin Bridgen, e la sua unità scientifica hanno visitato anche impianti abusivi di "riciclaggio" in Cina ed India, trovando sempre bambini al lavoro in condizioni ambientali terribili e sottolineano che «Molte delle sostanze chimiche che vengono rilasciate sono altamente tossiche, alcune possono incidere sullo sviluppo del sistema riproduttivo dei bambini, altre possono influenzare lo sviluppo cerebrale e del sistema nervoso. In Ghana, Cina ed India i lavoratori, molti dei quali bambini, sono esposti a tali sostanze chimiche pericolose".

Una situazione comunque non molto diversa dal punto di vista ambientale da quel che succede per il "trattamento" dell´e-wate in alcuni dei Paesi recentemente entrati nell´Ue ed anche in un bel pezzo di Italia, dove l´unico smaltimento praticato per i rifiuti elettronici è quello dell´accumulo in "discariche" non autorizzate o della spedizione illegale nei Paesi in via di sviluppo.
In Ghana infatti arrivano container pieni di computer, monitor e tv rotti, marchiati Philips, Canon, Dell, Microsoft, Nokia, Siemens, Nokia e Sony, provenienti dalle civili e "riciclone" Germania, Corea, Svizzera, Olanda, o magari da qualche porto italiano, contrassegnati addirittura con il marchio di qualità falso "second-hand goods".

Il trucco secondo Greenpeace è semplice: «Esportare e-waste dall´Europa è illegale, ma esportare vecchi prodotti elettronici per il "riutilizzo" consente a commercianti senza scrupoli di fare profitti con il dumping dell´old electronics in Ghana. La maggioranza del contenuto dei conteiners che raggiungono il Ghana finisce nei "cantieri" di rottami per essere schiacciato e bruciato da lavoratori non protetti». Il rapporto di Greenpeace sottolinea che per ottenere un container con alcuni computer riutilizzabili bisogna accettare che sia pieno di televisori rotti e spazzatura elettronica. Un cambio sempre più proposto dagli operatori occidentali.

Così i Paesi africani si stanno avvelenando con i rifiuti del consumismo elettronico occidentale. Secondo Greenpeace, la soluzione sta nell´eliminazione graduale da parte delle grandi aziende delle sostanze chimiche tossiche e nell´introdurre e far rispettare davvero i sistemi di riciclaggio globale. «Entrambi questi passaggi sono essenziali per far fronte alla marea crescente di sostanze tossiche dell´e-waste - si legge nel rapporto - Alcune aziende stanno compiendo progressi riguardo l´assunzione di responsabilità per l´intero ciclo di vita dei loro prodotti. Tuttavia, Philips e Sharp si distinguono per il loro rifiuto di accettare di essere responsabili del riciclaggio dei loro vecchi prodotti. La posizione di queste potenti multinazionali è la garanzia che ci sarà sempre un divario digitale che preferiscono rimanga nascosto, un pericoloso divario tra i lavoratori non protetti dei Paesi in via di sviluppo e una sinistra eredità tossica».

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