[02/09/2008] Rifiuti

Come tramandare ai posteri la memoria delle scorie nucleari?

LIVORNO. In questi giorni si sta discutendo molto del futuro del nucleare, ma quale che sia il suo avvenire abbiamo già un problema: le scorie nucleari che l´umanità dovra sorvegliare anche quando l´uranio sarà finito e le centrali nucleari saranno polvere e rovine. Sulla questione della trasmissione dei dati relativi alle scorie nucleari alle generazioni future, vi proponiamo un´intervista di Anne Farthouat a Patrick Charton, dell´Agence nationale pour la gestion des déchets radioactifs (Andra) della Francia, pubblicata su Novethic.fr.
Un´intervista che ci porta a spasso tra scienza e fantascienza, futuro e civiltà, ad un´eredità sporca e ingombrante per i nostri lontani pronipoti, che ci avranno scordato insieme all´effimera energia prodotta con l´uranio.

Il vostro lavoro consiste nel custodire la memoria dei siti delle scorie nucleari. Come procedete in concreto?
«Infatti, esistono due tipi di lavori: quelli riguardanti la memoria dei rifiuti radioattivi per i cinque secoli a venire e quelli, emersi da poco, relativi ad una memoria a più lungo termine, all´attenzione di una eventuale nuova civilizzazione. I primi sono in maggioranza descritti da parte dell´Agence de sureté nucléaire (Asn), i secondi sono lavori interni all´Andra, in collaborazione con ricercatori stranieri».

Quali sono le direttive dell´Asn sulla memoria a "corto termine"?
«Si tratta di perpetuare la memoria delle attività dei centri di stoccaggio. Per i centri di superficie, come quello di Digulleville nella Manche, dobbiamo conservare ed attualizzare i dati su tre secoli. Per i centri d´interramento geologico, sul tipo di quello previsto a Bure, il termine è portato a cinque secoli. A Digulleville, abbiamo raccolto e selezionato le conoscenze accumulate dopo la creazione del centro nel 1969, interrogandoci sul tipo di problemi che potranno porsi le generazioni future. Ci sono delle fughe? Degli incidenti? O semplicemente, quale è la natura di queste costruzioni? Cosa racchiudono? Oltre a questo lavoro d´immagazzinamento, aggiorniamo questi dati ogni cinque anni. Oggi contiamo più di 620 scatole di documenti archiviati, redatti su carta permanente».

A chi sono destinate queste informazioni?
«E´ una memoria molto dettagliata, molto tecnica, che non si indirizza a chiunque. Potrà interessare chi eventualmente un giorno vorrà spianare il sito. Occorre quindi, in parallelo, mantenere una memoria delle popolazioni, che chiamiamo "mémoire de synthèse". In effeti, non possiamo garantire che la fase della sorveglianza di un sito chiuso non venga perturbata da una crisi sociale o economica.
Ne succedono di cose in 300 anni!
Se guardiamo ai tre secoli dietro di noi per esempio, troviamo la Corte di Luigi XIV, molto lontana dalle preoccupazioni attuali. Dunque occorre indirizzarsi sia alla popolazione residente che agli amministratori: insomma, a tutti coloro che vivono in prossimità del centro, senza mai averne accesso. Per questo, abbiamo redatto un documento scaricabile da internet che fornisce soprattutto degli elementi indispensabili per la fine del periodo di sorveglianza».

Si tratta di documenti scritti, o digitalizzati, ma la memoria è anche il frutto di una trasmissione orale...
«Esattamente! Finora vi ho parlato della memoria detta "passiva", ma lavoriamo anche alla realizzazione di una memoria "attiva", organizzando frequentemente campagne di comunicazione, che dureranno tanto quanto le institutioni alle quali le lasceremo in dote. L´impegno è evidentemente quello di rendere le informazioni perenni».

La radioattività dei rifiuti nucleari oltrepassa di sovente i 500 anni. Come fare per assicurare una memoria a lunghissimo termine?
«Questo è anche l´obiettivo dei lavori di ricerca che stiamo conducendo al´Andra. Lavoriamo con nostri omologhi stranieri, perchè occorre creare una riflessione globale su questo tema, anche perché ognuno ha le sue idee. Per esempio, gli anglosassoni e gli americani lavorano su marcatori di superficie, un po´ alla maniera dei megaliti presenti da molti secoli. Ma la difficoltà è spesso nella comprensione del senso: guardate il mistero che circonda le statue delle isole del Pacifico! Gli americani pensano di incidere un messaggio in più lingue, tra le quali il francese, per accrescere le chance di trasmissione. Ma come garantire l´eternità di un linguaggio sulla scala dei millenni? Quindi lavorano anche all´elaborazione di sigle significative, per far apparire la pericolosità di una intrusione intempestiva nel sito.

Qui si pone ancora il problema fondamentale del senso: come essere sicuri di non incitare a penetrare il sito per curiosità? Lasciare una traccia è prima di tutto segnalare la presenza di qualcosa che può rivelarsi intrigante… Dal canto loro, i giapponesi pensano ad altri tipi di segnali. Soprattutto una marcatura al laser su un materiale molto resistente che interporranno in un luogo sacro. In effetti, esiste un tempio che, da mille anni, è stato distrutto e ricostruito identico ogni 25 anni. Qui si realizza l´impatto della tradizione culturale nella trasmissione del sapere».

Quali sono le proposte francesi in materia?
«Per quanto mi riguarda, penso che occorrerà inevitabilmente combinare diverse soluzioni avanzate. Un sociologo propone per esempio di creare un´opera d´arte della quale le popolazioni siano talmente fiere da non lasciarla mai scomparire. Trovo l´idea piuttosto seducente. In tutte le maniere, occorrerà trovare la soluzione nel solo modo possibile: con l´ingegno, rivolgendosi alle civiltà passate per studiare i modi con i quali la loro cultura ci è pervenuta. Si farà appello ad archeologi, storici, antropologi. Ma abbiamo tutto il tempo per rifletterci sopra: la chiusura dei centri di stoccaggio non è prevista per domani».
(traduzione U. Mazzantini)

Torna all'archivio