[02/09/2008] Comunicati

I vent´anni dell´Ipcc, l´uragano Gustav e il principio di precauzione

FIRENZE. «Sta arrivando la tempesta del secolo, questa volta può essere peggio di Katrina. Dovete avere paura, dovete essere preoccupati, e dovete portare le vostre chiappe fuori dalla città immediatamente: sarà la madre di tutti gli uragani e non sono sicuro che abbiate mai visto niente del genere»: queste le dichiarazioni, riportate da “Repubblica” di ieri, del sindaco di New Orleans Ray Nagin.

Ma Gustav, intanto, perdeva potenza: prima declassato al grado 2 della scala Saffir-simpson, poi al grado 1, infine a depressione tropicale. La città di New Orleans è stata quindi colpita da forti piogge e da venti impetuosi, ma di intensità inferiore a 119 km/h, ben lontani quindi dai dati anemometrici associati all’uragano Katrina, che nel 2005 toccò terra con intensità 3 (venti tra 178 e 209 km/h) dopo avere perso potenza rispetto alla sua originaria intensità 5 (venti >249 km/h). Si consideri che un uragano arriva alle coste americane con forza 5 solo in casi rarissimi: finora (dati National hurricane center) ciò è avvenuto solo 3 volte, nel 1935, nel 1969 e nel 1992 (uragano Andrew).

Quindi no, anche in attesa di vedere se e come reggeranno gli argini, non si può dire che Gustav sia stata «la tempesta del secolo», come aveva preannunciato il sindaco Nagin nell’emettere l’ordine di evacuazione della città, seguito dal 95% della popolazione. Eppure, chi avrebbe il coraggio di dire che Nagin ha sbagliato? Quante persone sarebbero morte, se non fosse stato emesso l’ordine di evacuazione? Si può dire che Nagin ha assunto un atteggiamento “catastrofista”, o è giusto sottolineare che le previsioni sembravano orientarsi verso un effettivo disastro, e solo il caso (la diminuizione d’intensità del ciclone, lo spostamento della sua traiettoria verso zone meno densamente abitate) ha impedito che si verificassero devastazioni analoghe a quelle causate da Katrina?

La domanda è retorica, naturalmente: delle vite umane sono state salvate, dei danni economici ingenti (il bilancio del dopo-Katrina si è assestato sugli 80 miliardi di dollari di soli danni materiali diretti) sono stati in buona parte evitati, a causa della maggiore operatività di cui hanno potuto godere gli operatori civili e militari in una città quasi completamente evacuata. E le previsioni dei giorni scorsi parlavano effettivamente di un impatto molto più devastante da parte di Gustav sulle coste americane nel Golfo. Bene ha fatto il sindaco, quindi, a lanciare un allarme così pesante in osservanza del principio di precauzione.

Già, il principio di precauzione, quel caposaldo del metodo scientifico che oggi è messo così pesantemente in discussione da chi – in assenza di “pistole fumanti” riguardo al ruolo antropico nel surriscaldamento climatico – pretende di scrollare le spalle davanti alle conclusioni dell’Ipcc.

Già, l’Ipcc, quell’organismo che esattamente 20 anni fa (il 31 agosto 1988) fu creato dalla World meteorological organization (Wmo) e dall’United nations environmental programme (Unep) al fine di studiare il surriscaldamento climatico e il ruolo antropico nelle sue dinamiche. Quell’organismo che, fino alla pubblicazione del Rapporto Stern (2006), è stato considerato portatore di istanze di pura matrice utopica, accusato in sostanza di perdere la sua autorevolezza davanti ad un sistema capitalistico e industriale che delle emissioni di carbonio e di altri elementi nell’atmosfera ha fatto la sua ragione di vita: il passaggio di carbonio dalla terra all’atmosfera è il carburante stesso dell’industrializzazione, e come si permettono questi scienziatucci da quattro soldi di minare il sistema economico alle fondamenta? Non capiscono che se non possiamo usare l’energia dei legami contenuti nelle molecole carboniche non possiamo produrre ricchezza, e quindi benessere, e quindi difesa dell’ambiente, e quindi pace?

Ma poi arrivò il Rapporto Stern, e le carte in tavola si ribaltarono: non capiscono, questi politici da quattro soldi, che se non fronteggiamo attivamente e passivamente i cambiamenti climatici dovremo spendere molti più fondi rispetto alla scelta di fingere che il problema non ci sia?

E il dibattito s’infiammò, e intanto il clima cambiava seguendo in buona parte le previsioni dell’Ipcc, sia pure con i notevoli errori che i precedenti Report contenevano, e sia pure negli errori contenuti nel Quarto rapporto che ancora non sappiamo essere tali, ma che saranno sicuramente svelati dai prossimi studi. E l’approssimazione con cui buona parte dei media affrontavano (e tutt’oggi affrontano) la questione non ha aiutato: dubbi che nella sintesi giornalistica diventavano certezze, previsioni probabilistiche (quali sono quelle dell’Ipcc) che diventavano previsioni certe sul clima che ci aspetta tra cent’anni. E dall’altro lato ogni frana, ogni allagamento, ogni atto di incuria territoriale da parte delle autorità preposte si trovavano assolte col pretesto (in molti casi, davvero il pretesto) dei cambiamenti climatici. Abbiamo costruito case sulla riva del mare, sulle sponde dei fiumi, senza calcolare il tempo di ritorno degli eventi estremi: e se poi avviene un’inondazione? “E’ colpa del cambiamento climatico”.

Nacque lì la rabbia di molti. Rabbia che si è poi fusa con il menefreghismo di altri, e con la furbizia di alcuni Spin-doctor che hanno diffuso a profusione false verità che negavano il surriscaldamento climatico e ogni eventuale ruolo antropico. E il risultato, oggi, è questo: per ogni passo in avanti che la comunità scientifica compie verso la comprensione delle dinamiche climatiche e del ruolo umano, la comunità umana compie un passo indietro, sul web e su gran parte dei media tradizionali. Sono bastati un inverno fresco e una primavera piovosa per leggere commenti sui quotidiani riguardo alla “fine della bufala Global-warming”. E mentre cominciano ad emergere prove certe di un ruolo umano significativo, mentre il ritmo di diminuizione della calotta polare sembra ricalcare (se non peggiorare) le previsioni passate, ecco che continuiamo a speculare su questioni di lana caprina che forse non avranno mai riposta certa. Come ha detto ieri Giampiero Maracchi a greenreport, la sfida adesso non è più speculativa, non è più associata al principio di precauzione, ma verte sul «domandarsi che cosa fare, quali adattamenti intraprendere» per fronteggiare un cambiamento climatico che sembra ogni giorno più evidente, così come ogni giorno sembra più evidente la significatività del ruolo antropico. Ma a molti questa sfida non interessa, persi nelle loro discussioni da stadio.

Quindi, in conseguenza della ridotta intensità dell’uragano Gustav, per oggi il punteggio resta: negazionisti 2 – catastrofisti 1. E nessuno – sia chiaro, nessuno – tifa per la vittoria dei cosiddetti catastrofisti, in questa ridicola partita al massacro.

Torna all'archivio