[08/09/2008] Energia

Tentazioni nucleariste e Partito democratico

FIRENZE. Ad alcune feste del PD in Toscana il nucleare è tornato di moda; qualcuno più zelante si è spinto a dichiarare che la sinistra fece male a sostenere il referendum del 1987 contro il nucleare. La cosa preoccupa anche perché la Toscana nel piano energetico nazionale degli anni ’70 era individuata con ben 3 siti e uno al confine (Montalto di Castro riconvertito a termoelettrico convenzionale): il PEC del lago Brasimone, Piombino e Capalbio con un impianto per l’arricchimento dell’uranio.

La questione, schematicamente, viene posta in due modi: il nucleare non produce CO2 (il che non è vero perché c’è bisogno di grandi quantità di materia per istallare e controllare questa fonte energetica concentrata e per farlo occorre energia da idrocarburi), l’Italia non può star fuori dalla ricerca sul nucleare (anche questo non dice tutta la verità perche l’Italia avrebbe la grande occasione di sviluppare la ricerca e gli investimenti – molto meno costosi - per il risparmio energetico e le fonti rinnovabili, dato che anch’esse hanno bisogno di usare energia da idrocarburi prima di diventare autonome e autoriproducentesi).

Ma l’energia nucleare ha una serie di handicap molto più seri che non ne fanno certo la tecnologia più avanzata, pulita e sicura (reattori di “nuova generazione”): (a) ha molti problemi di natura tecnica (gestione del rischio e smaltimento di migliaia di tonnellate di scorie radioattive al cui costo elevatissimo di messa in sicurezza – molto incerta - qualcuno deve far fronte; occorrono, infatti, centinaia di migliaia di anni per la riduzione a livelli accettabili di radioattività) ed economica (i costi di impianto delle centrali nucleari sono elevati sia per i tempi di istallazione -può richiedere da sette a dieci anni- sia per la brevità dei tempi di vita: 25-30 anni al massimo; i costi dell’uranio che è in via di esaurimento. Vale cioè il classico ragionamento dell’economia di mercato sul rapporto costi/benefici per il quale, senza sussidi di stato il Kwh prodotto col nucleare, non starebbe sul mercato);

(b) a livello mondiale le nuove centrali progettate e in corso di impianto sono poche, in numero decrescente tali da non coprire -nonostante la Cina- neanche la sostituzione di quelle obsolete e in corso di chiusura;

(c) la quota di energia elettrica prodotta col nucleare a livello mondiale è intorno al 3% e non ha prospettive di crescita; (d) l’energia a fusione, la cosiddetta energia nucleare pulita, potrebbe aver bisogno di un altro secolo prima di diventare praticabile su vasta scala, fuori tempo massimo.

Ma deviare la discussione sul nucleare significa soprattutto depistare l’opinione pubblica sui nodi veri che ci stanno di fronte e su scelte non più rinviabili.
Il cambiamento climatico in atto è legato all’accumulo di CO2 nel lungo termine che rende più complicato individuare una soluzione certa. Non dobbiamo far conto su tecnologie non ancora esistenti ma su scelte dettate da ragioni sociali e politiche. Da qui la necessità di rifuggire da atteggiamenti miracolistici nei confronti della tecnologia.

Ciò per due ragioni concomitanti e interagenti: la crescita della popolazione e dei consumi e la crescita economia. Non possiamo limitarci a perseguire la riduzione dei consumi di materia/energia per unità di prodotto, mentre la quantità di prodotti aumenta a ritmi superiori dell’efficienza energetica, e non possiamo nemmeno illudere con il mito della sorgente energetica miracolosa e poter continuare a consumare all’infinito. Devono essere ridotti i consumi assoluti di energia, cioè i tassi di crescita attraverso misure tali da sostenere, tramite comportamenti, tecnologie e regole, livelli più contenuti di domanda di idrocarburi per dare tempo (poco ne rimane) alla diversificazione e non ai miti.

Il Pier della Toscana, appena approvato, non prende in considerazione il nucleare e considera il suo ritorno una scelta sbagliata. Come la mettiamo?

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