[11/09/2008] Acqua

Acqua, grande attesa per la Carta di Saragozza

FIRENZE. Rimaniamo in attesa, con ansia, in merito ai contenuti della Carta di Saragozza, il documento che sarà presentato domani al termine dell’Expo che ha messo al centro la risorsa idrica, l’oro blu. Il testo rappresenterà una sintesi del lavoro che gli esperti internazionali hanno compiuto in questi tre mesi. Siamo prudenti e non ci facciamo illusioni. Troppi sono stati gli appuntamenti mancati sul tema, troppi gli equilibri ricercati per non scontentare nessuno, quelli che hanno caratterizzato altri importanti documenti conclusivi di eventi internazionali, a partire ad esempio dai Forum mondiali sull’acqua. Questa volta però pare che importanti “paletti” siano inseriti nel testo finale. Uno su tutti: la Carta di Saragozza sembra che sancirà l’acqua come diritto. Accesso all’acqua, bene indispensabile per l’umanità, per garantire non la sopravvivenza ma la vita in modo dignitoso; acqua sicura dal punto di vista igienico per evitare che oltre 3 milioni di persone all’anno muoiano per malattie trasmesse attraverso questo veicolo.

Da qui, dalla certezza di un diritto internazionale, si deve partire per mettere fine alle “falle” che caratterizzano il sistema. Sono ancora molte anche nei Paesi del Nord del mondo. Perché in Italia in media si devono consumare 215 litri pro capite al giorno quando si può vivere in modo dignitoso consumandone 120. Perché si devono continuare a scaricare i nostri sciacquoni con acqua potabile e non si effettua la “raccolta differenziata” dei reflui (diminuendo in tal modo l’inquinamento) alcuni ricchi di nutrienti, per poi andare a produrre fertilizzanti chimici che finiscono nei campi e nelle falde.

Perché non si favorisce alle nostre latitudini la raccolta dell’acqua piovana e il riuso delle acque reflue? Perché invece si continua a favorire a livello mondiale un’agricoltura idroesigente di tipo intensivo? Come si riuscirà a rispondere alla richiesta crescente di proteine animali (per produrre carne ci vuole molto acqua) che verrà dai Paesi emergenti? Solo con l’acqua al centro della pianificazione urbana (nelle città si concentrerà la maggior parte delle persone nel prossimo futuro), con cambiamenti significativi nelle modalità di produrre e con l’analisi complessiva di costi e benefici, si potranno dare risposte sostenibili. Di conseguenza la ricerca di soluzioni mirate che sappiano leggere anche quanto è stato storicamente tramandato e che non portano solo alla realizzazione di grandi infrastrutture, costose, che richiamano denaro e stuzzicano appetiti, è probabile che escludano di fatto da questa partita quei soggetti inconciliabili, diciamo per loro stessa “natura”, con una gestione democratica di un bene di tutti. A queste domande locali e globali potrà rispondere in modo adeguato solo un governo autorevole e partecipato della risorsa idrica, che sappia prendere decisioni sopra le parti. Ecco perché a senso la richiesta che viene da molti di una Kyoto per l’acqua, che sappia magari non ripercorrere errori e difetti di quell’accordo internazionale.

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