[16/09/2008] Comunicati

Global warming: occhio non vede, cuore non duole

FIRENZE. Mentre si smorza la potenza di Ike, ultimo assalto di questa sequenza ravvicinata di fine estate, e in Atlantico non si profilano al momento nuove minacce a brevissimo termine, si ha il tempo per riportare alla mente le parole che in questi giorni hanno accompagnato allarmi ed ordinanze di evacuazione delle città costiere americane: «sarà la madre di tutti gli uragani e non sono sicuro che abbiate mai visto niente del genere» (il sindaco di New Orleans, Ray Nagin, il 2 settembre scorso prima dell’arrivo di Gustav). «Morte certa per chi resta a casa» (il Servizio meteo nazionale ai cittadini della zona di Galveston Bay, venerdì scorso in attesa dell’impatto di Ike sulle coste del Texas).

Frasi probabilmente estrapolate da contesti più ampi, ma che il successivo rilancio mediatico trasforma e sintetizza poi nei lugubri titoli della sera, o del giorno dopo. E così il medio cittadino americano sa che, non da qualche parte sperduta del mondo ma nel suo paese, dei suoi compaesani lottano contro il clima, abbandonano le proprie case, rischiano la vita, fuggono dalla violenza del tempo. Non succede in un’isola sperduta, non capita nelle lontane terre ricoperte dai ghiacci, non avverrà domani: accade qui, avviene ora.

E per fortuna (degli americani) che in questi giorni – come ha già scritto Massimo Serafini su greenreport il 12 settembre – per gli abitanti della Louisiana e del Texas è stato possibile un «prima, fatto di evacuazione di massa e misure di difesa», mentre agli abitanti di molte isole caraibiche, ben più povere e disorganizzate davanti alla furia degli elementi, è rimasto solo «un dopo, fatto di fango, distruzione, e morti».

Ma comunque, sia per chi affronta il “prima” sia chi subisce il “dopo”, appare evidente l’importanza di sapere quanto il ruolo umano possa influire sul surriscaldamento globale, e quindi come e quanto le emissioni umane dirette e indirette possano aggiungere energia ai già potenti sistemi atmosferici, e ai fenomeni che essi comportano. Sapere per salvarsi la vita, sapere per salvarsi la casa.

In Europa, in Italia è tutto decisamente diverso. Nel Belpaese, lontano dalla traiettoria dei cicloni tropicali e delle grandi inondazioni, la precisa quantificazione del ruolo antropico sembra essere materia per addetti ai lavori, mentre sulla stampa generalista si passa con grande disinvoltura da titoli come “clima impazzito” (davanti ad un normale acquazzone autunnale) a “non è successo niente, sono solo cicli naturali” (davanti all’estate 2003 o all’inverno 2006/7). Si nega l’evidenza e si drammatizza l’ovvio, qui si gridano allarmi quando si deve rassicurare, di là si minimizza quando occorre mettere in guardia. E, in questo evidente deficit culturale, sono bastati un inverno fresco, ed una primavera piovosa, a far sì che su alcuni dei principali quotidiani nazionali si leggessero pagine inneggianti alla “fine della bufala-Gw”.

E’ colpa dell’uomo il surriscaldamento globale che è (indubitabilmente) in corso? La scienza ci dice che sicuramente lo è in parte, allo stato attuale delle conoscenze. Ma ancora non possiamo quantificare con precisione, troppo pochi gli anni di osservazione, troppe le variabili in gioco, troppi i dubbi per il futuro. C’è un ruolo dell’uomo, è ormai chiaro che esso sia significativo e non marginale, ma ancora manca la “pistola fumante”: è in questo interstizio che si inseriscono lo scetticismo “puro” (puramente menefreghista, cioè) dell’uomo da strada, quello parzialmente interessato della classe politica, quello completamente interessato di chi diffonde artatamente notizie false e dubbi capziosi riguardo al clima e al ruolo dell’uomo. Per i soldi, per il potere, o semplicemente per il gusto di fare polemica o per discolparsi a priori davanti ad ogni possibile responsabilità e, quindi, ritrarsi davanti ad ogni ipotesi di limitare i propri consumi, i propri sprechi, la propria “crescita”.

Che cosa aspetti, amico, a capire: questo si domanda Serafini riguardo al percorso che attende la società umana nel dopo-Kyoto, a partire dalla conferenza di Copenaghen del dicembre 2009. Saranno attivate serie misure di adattamento, che si accompagneranno a reali politiche di riduzione delle emissioni? O si proseguirà con un trattato di riduzione dal valore soprattutto simbolico, qual è Kyoto, e proseguiranno politiche di sostanziale riparazione dei danni a posteriori?

La politica, i media, la stessa scienza climatologica hanno un lavoro da svolgere: informarsi prima, informare poi il cittadino comune, mettere in mano alla “gente” reali strumenti per comprendere le dinamiche climatiche, prima ancora che astrusi grafici sulle aleatorie previsioni a cento anni, che l’uomo comune non leggerà mai e, se leggesse, probabilmente non potrebbe capire. E, soprattutto, continuare a cercare quella prova definitiva del ruolo antropico, quella “pistola fumante” che sia riconoscibile anche all’uomo della strada, e da esso comprensibile anche nel tepore di una casa riscaldata o nel fresco di un ufficio climatizzato. Manca un monito culturale diffuso, una nuova consapevolezza che convinca l’italiano di avere interesse ad evitare gli sprechi, a scegliere vettori energetici non climalteranti, a spengere il suo Suv o la sua potente motocicletta. Sperando che dal cielo o dal mare non arrivino mai moniti come quelli che subiscono gli americani, i cubani, gli haitiani, ma anche i giapponesi, i cinesi, i bengalesi, gli abitanti degli atolli pacifici, gli inuit...

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