[19/09/2008] Comunicati

La parabola degli antibiotici e dei pazienti "impazienti"

LIVORNO. La molecola che grazie ad Alexander Fleming ha sconfitto malattie che solo fino all’inizio del secolo scorso falcidiavano migliaia di persone, l’antibiotico, potrebbe presto divenire assolutamente inutile di fronte al più banale dei batteri. Ce lo ricorda un articolo di oggi su La Repubblica e ricorda anche che il motivo di questo sta nell’uso assolutamente sbagliato e nell’abuso che dei derivati e delle molecole successive alla penicillina di Fleming è stato fatto.

Assai frequente è infatti l’abitudine di ricorrere all’antibiotico in caso d’influenza, anche se del tutto inutile dal momento che tale farmaco non esercita alcun tipo di azione sull’agente che l’ha determinata ovvero un virus; a meno che non vi siano serie possibilità che l’organismo reso più vulnerabile dallo stato influenzale possa non reagire ad una infezione che potrebbe sopraggiungere. Ma intanto dovrebbe essere un medico a stabilirlo e dovrebbe anche raccomandare il corretto uso dell’antibiotico che prescrive, oltre a ricordare al paziente che un organismo per poter reagire bene alle infezioni deve essere messo nelle condizioni di farlo, ovvero tenerlo a riposo e al riparo da possibili ulteriori attacchi da parte di altri microrganismi.

Tutto quello (o quasi) che non avviene invece spesso al primo sintomo di raffreddore: troppa è la fretta di guarire che l’atteggiamento più diffuso è quello di imbottirsi di qualsiasi farmaco in grado di togliere il sintomo e farci tornare alla svelta in attività. E di smettere di prendere il farmaco appena il sintomo è cessato. Un atteggiamento che adottato nell’uso degli antibiotici ha determinato il fatto che molecole così importanti e preziose per sconfiggere infezioni che possono determinare un rischio grave per la salute e anche, in certi casi, per la stessa sopravvivenza, non sono più in grado di agire. Il perché è spiegato dal fatto che l’uso sbagliato di questi farmaci determina la selezione di ceppi resistenti di batteri, questo significa che al posto dei batteri originali proliferano e si diffondono “cugini” che hanno sviluppato caratteristiche non più aggredibili da quella molecola. Quindi la molecola su di loro non ha più l’effetto conosciuto e desiderato, e la malattia difficilmente viene sconfitta.

Già nel giugno del 2000 un rapporto speciale dell’Oms aveva sottolineato che, a causa di questi problemi, nell’arco di 10-20 anni il mondo correrà il rischio di riprecipitare nell’era pre-antibiotici, quando si moriva per infezioni batteriche che oggi appaiono banali appunto perché facilmente curabili con gli antibiotici.

Oltre all’uso non corretto della terapia antibiotica nelle patologie umane, c’è da sommare anche quello che avviene nel settore zootecnico, dove negli allevamenti intensivi l’uso dell’antibiotico è reso indispensabile, spesso, come terapia preventiva.

Ma è stato ampiamente dimostrato come l’utilizzo di antibiotici negli animali porti alla selezione di ceppi resistenti che hanno la possibilità di colonizzare l’intestino e, conseguentemente, di essere escreti e di contaminare l’ambiente e gli alimenti derivati. Questo comporta una duplice possibilità di interazione animale-uomo: da un lato, qualora i microrganismi resistenti siano agenti di zoonosi (malattie che si trasmettono dagli animali all’uomo coma la Salmonella), questi sono in grado di causare infezione nell’uomo e ovviamente di veicolare a quest’ultimo la propria resistenza, ma è altrettanto vero che anche batteri non patogeni per l’uomo subiscono nell’intestino dell’animale la stessa pressione selettiva a cui sono sottoposti i batteri “target” della terapia antibiotica e quindi acquisire resistenza che può essere poi trasmessa a microrganismi diversi, anche spiccatamente patogeni.

La conseguenza di questo è che le infezioni anche dovute a batteri banali diventano più difficile da curare con gli antibiotici classici e si deve ricorrere ad antibiotici sempre più potenti.
Ma ormai le aziende farmaceutiche sembrano non avere più grande interesse ad investire nella ricerca di antibiotici: basti pensare che dal 1930 (la penicillina fu scoperta da Alexander Fleming nel 1929) al 1970 sono state creati 15 nuovi antibiotici mentre da allora ad oggi soltanto due.

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