[19/09/2008] Aria

Fahreneit 4.51 (milioni di Km): raggiunta l´estensione minima annuale dei ghiacci boreali

FIRENZE. Il 12 settembre scorso l’estensione dei ghiacci artici marini appare avere raggiunto il minimo del 2008, secondo il National ice and snow data center (Nsidc) e la Nasa, che martedì 16 hanno indetto una conferenza sul tema. I 4,51 milioni di kmq raggiunti rappresentano la seconda più bassa estensione minima annua dall’inizio dei rilevamenti satellitari (1979), dopo il 2007 in cui si registrarono circa 4,13 milioni di kmq. Anche se individuare medie attendibili appare insensato davanti ad una serie storica così breve, l’estensione attuale dei ghiacci marini boreali si assesta su 2,24 milioni di kmq in meno rispetto alla media dei minimi annuali 1979-2000.

Per “ghiacci marini” si intende, lo ricordiamo, quella superficie d’acqua in cui la parte solida supera il 15% di estensione. Il dato riguardo alla superficie è naturalmente solo una delle variabili in gioco, anzi assumono maggiore importanza, a fini climatologici, i dati sullo spessore e sugli anni di vita del ghiaccio. Ce lo ha ricordato recentemente il Wwf presentando stime per cui la parte di banchisa che ha almeno 5 anni è diminuita del 56% tra il 1985 e il 2007, e giungendo alla conclusione che probabilmente «quest’anno in Artico c’è meno ghiaccio di quanto ce ne sia mai stato da quando sono cominciati i rilevamenti».

Ma comunque il dato sulla estensione superficiale dei ghiacci è tra i più semplici e attendibili da ricavare, e ha il pregio di monitorare in tempo pressoché reale le reazioni che i sistemi fisici artici hanno in conseguenza dell’evoluzione climatica, cosa che gli altri campi di analisi non offrono con la stessa rapidità.

Quindi siamo di fronte alla seconda minima estensione annuale della banchisa artica, dopo il 2007 e prima del 2005, che scende così al terzo posto di questa triste graduatoria. E, secondo l’ente spaziale americano, «questa stagione aggrava il forte trend negativo osservato negli ultimi trent’anni». La Nasa ha annunciato che nella prima settimana di ottobre sarà pubblicato un rapporto dedicato all’analisi delle cause di questa costante dinamica al ribasso dei ghiacci marini artici.

Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, cerchiamo di aggiungere qualche considerazione di stampo maggiormente ottimistico: anzitutto, quanto paventato alla fine di giugno da alcuni ricercatori del National geographic a bordo del rompighiaccio Amundsen, e cioè la possibilità che il polo nord geografico restasse senza ghiaccio galleggiante già da quest’estate, sembra un rischio scongiurato. La notizia peraltro, riportata in modo inesatto da alcuni organi di stampa, creò aspre polemiche perchè a molti parve significare che quest’estate potevano scomparire i ghiacci marini boreali nella loro totalità, e non “solo” quelli nella zona del polo geografico. Evento che invece non dovrebbe avvenire, se si mantenessero i trend attuali, prima di un lasso di tempo che è stato stimato andare dal 2013 al 2030. Ad ogni qual modo, per quest’anno è andata.

Altro dato da sottolineare è il buono stato di salute dei ghiacci marini antartici, che dopo un 2008 in cui hanno raggiunto la loro estensione massima dal 1979 (più di 16 milioni di kmq, quasi 2 milioni di kmq di anomalia positiva), si sono attualmente assestati intorno alla media. Va però ribadito che questa non appare essere una buona notizia (cioè in controtendenza con il riscaldamento), in quanto secondo il quarto Rapporto Ipcc l’estensione dei ghiacci antartici in conseguenza del surriscaldamento globale dovrebbe, in una prima fase, aumentare invece di diminuire: ciò per cause ancora da chiarire completamente, ma che sono comunque legate alla continentalità del clima antartico, che sembra reagire ad aumenti di temperatura media con un aumento della nuvolosità e delle precipitazioni nevose. Altra possibile spiegazione del paradosso è che la crescita delle temperature globali influisca sul continente antartico in modo minore rispetto ad altre regioni del globo, più influenzate dagli scambi di calore ed energia che sono associati alla dinamica delle correnti marine.

Quindi, ancora una volta, si evidenzia la natura contraddittoria della stessa espressione “Global warming”: non un surriscaldamento nel senso comune del termine, ma un aumento dell’energia associata ai fenomeni climatici, cioè a quel modo con cui il sistema climatico globale distribuisce l’energia disponibile. Quindi un “warming” da intendersi in senso termodinamico prima che nell’accezione comune del termine, che causa cioè, prima di un riscaldamento generalizzato, quel famoso “aumento dei fenomeni climatici estremi” di cui tanto si parla: al polo nord gli ultimi due anni hanno visto il record negativo dell’estensione dei ghiacci? E al polo sud avviene esattamente il contrario. Purtroppo, per quanto spiegato, entrambe le notizie sono invece da considerarsi allo stesso modo “coerenti con il riscaldamento in atto”.

E, soprattutto, il costante verificarsi di eventi che erano previsti dai modelli climatici degli anni ’90 in cui era inserito il forcing antropico (cioè da quei modelli che, nel prevedere l’evoluzione climatica, consideravano significativo il ruolo delle emissioni umane dirette e indirette) aumenta l’attendibilità di quei modelli. E, viste le previsioni per il futuro basate su quei modelli, il fatto che ogni giorno essi si rivelino più attendibili non è, per niente, una buona notizia.

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