[25/09/2008] Energia

Kyoto e frenata italiana, Silvestrini: «L´efficienza energetica costa? Fantasie»

LIVORNO. Il nostro debito per Kyoto ha già superato 1miliardo e 100milioni di euro, al ritmo di quasi 48 euro al secondo. E’l’implacabile contatore del sito del Kyoto club, che gira in tempo reale, a ricordarcelo. Ma evidentemente il governo non tiene aggiornato il proprio contatore, dato che anziché creare le condizioni per rispettare gli accordi previsti nel protocollo e attrezzarsi per i prossimi obiettivi vincolanti che tutti gli stati dell’Unione europea dovranno rispettare, manda in missione il Ministro per le politiche comunitarie Andrea Ronchi a cercare alleati per frenare questa strategia.

Il governo dice di non mettere in discussione la strategia del tre venti, approvata nel marzo del 2007 dai capi di stato e di governo dell’Unione, vorrebbe però cancellare l’ipotesi di portare il taglio dei gas serra al 30% in caso di accordo globale su Kyoto e di stemperare sulle modalità di raggiungimento di quegli obiettivi. Intanto rivedendo la quota di riduzione del 13% delle emissioni (rispetto al 2005) che spetta all’Italia per i settori, come ad esempio trasporti, manifatturiero e agricoltura che non rientrano nel sistema europeo di scambio delle emissioni, sia escludendo le piccole imprese dalle quote di Co2 sia l’estensione dei permessi gratuiti per quelle più grandi.

Una missione che per il momento non ha trovato grande successo, e che – se trovasse consensi- soprattutto nell’obiettivo di cancellare l’allargamento dell’obiettivo del taglio del 30% dei gas serra potrebbe indebolire la posizione dell’Europa in vista degli accordi di Copenaghen per il Kyoto 2012. Anche per questo sarebbe auspicabile una forte opposizione alla politica governativa che per ora ha trovato uno stop da parte di alcuni esponenti del partito democratico e di Legambiente ma che sarebbe opportuno suscitasse iniziative di più ampio respiro.

Ne abbiamo parlato con Gianni Silvestrini (Nella foto), direttore scientifico del Kyoto club.
«Faccio una premessa. Su alcuni punti di riflessione critica ci sono anche elementi seri, ad esempio sul settore delle auto, ma il problema è che si è partiti troppo tardi: i giochi sono ormai stati fatti e non ci sono più margini di trattativa. Riguardo ai rischi, questa iniziativa potrebbe avere un effetto pericoloso sui paesi dell’Est, che sono stati meno coinvolti in passato per l’accordo di Kyoto e potrebbero adesso agganciarsi alla posizione italiana per frenare. Ma dubito che possa avere un effetto destabilizzante sul ruolo dell’Europa. Comunque c’è da dire che l’Italia invece di avere questo atteggiamento sempre lamentoso e di retroguardia, avrebbe maggiori vantaggi dall’essere più propositiva».

Nel merito, che ne pensa della posizione italiana?
«Intanto bisognerebbe smontare il documento che viene utilizzato sui costi: ad esempio la voce che riguarda l’efficienza energetica che prevede un costo di 120 miliardi per adeguarsi agli obiettivi previsti è a dir poco fantasiosa. Vi sono tantissimi altri rapporti che dicono esattamente il contrario, ovvero che l’Europa avrebbe tutto da guadagnare a lavorare sull’efficienza energetica.
Il rapporto McKinsey dice ad esempio che anziché, come previsto, aumentare la crescita dei consumi dell’1,2%, si potrebbe azzerare al 2020 e risparmiare 440 milioni di tonnellate di petrolio. Anche la Iea riporta che per ogni euro speso su efficienza energetica se ne risparmiano circa 2 sulla costruzione di centrali. In Italia alcune ricerche stimano un potenziale di efficienza notevolissimo. In particolare, nel caso del settore elettrico, la ricerca del gruppo eERG, valuta al 2020 un potenziale economicamente conveniente dell’ordine dei 100 TWh/anno, che, se realizzato, produrrebbe benefici economici netti: taglio di 50 milioni di tonnellate di Co2 rispetto allo scenario tendenziale e aumento dell’occupazione con 60.000 posti di lavoro per 14 anni. Per parlare solo dei consumi elettrici».

Ad esempio nel settore dei trasporti, data la situazione attuale si potrebbero avere notevoli margini d’intervento. Non crede?
«Nel settore trasporti ci sono due voci: una riguarda la tecnologia e su questo ritengo che la posizione europea di puntare sul peso delle auto per ridurre le emissioni di C02, sia sbagliata ed è vero che penalizza la Fiat e avvantaggia le auto tedesche. E l’accordo con le case automobilistiche non ha portato a risultati. Ma ormai i margini d’intervento a livello europeo su questo sono troppo risicati e tardivi. Mentre sul settore della mobilità si può fare moltissimo».

Riguardo alle rinnovabili Bruxelles ci ha chiesto di portare al 17% la quota che attualmente è al 5,2%. Se restano questi gli obiettivi, il rischio, secondo il governo, è che si perda in competitività. Non crede che in un periodo di crisi come quello attuale questa potrebbe invece essere un’opportunità per l’industria per far partire una filiera innovativa anziché un orpello?
«Mentre sull’efficienza energetica il 13% è fattibile e ci sono moltissimi margini d’intervento, effettivamente l’obiettivo per le rinnovabili è molto ambizioso e non è che cambierebbe molto abbassarlo di un punto percentuale. Credo che possa essere un’opportunità per l’industria, ma per farlo bisognerebbe intervenire sul versante di costi e abbassare pian piano il meccanismo d’incentivazione che è effettivamente eccessivo. Cioè man mano che si sviluppa il settore abbassare le tariffe, come ha fatto la Spagna ad esempio. Anche perché il prezzo della tecnologia, ad esempio nel fotovoltaico, si sta riducendo e si ridurrà prossimamente».

Per il momento non sembra che la missione di Ronchi abbia avuto grande successo, ma per perorare la causa si impegnerà prima la presidente di Confindustria e poi direttamente il premier, crede che punteranno ad ottenere un aumento di scambi di crediti all’estero?
«Anche sul versante dei meccanismi di flessibilità l’Italia è indietro. E’ un meccanismo previsto nel protocollo di Kyoto e credo che non bisognerebbe avere un approccio ideologico, ma utilizzarlo. E il nostro paese invece non l’ha fatto».

L’opposizione ha bocciato l’iniziativa del ministro Ronchi, sottolineando che sarebbe necessario ammodernare l’industria nazionale per renderla competitiva, anziché frenare l’Europa.
«Infatti. Anche per il fatto che le prossime elezioni americane, qualunque sia la parte che vincerà, creeranno un’atmosfera molto competitiva e soprattutto per quanto riguarda il settore dell’energia e delle nuove tecnologie ad esso legate. Avere una posizione difensiva avrà, quella sì, un effetto devastante per la nostra impresa, in maniera del tutto speculare a quanto afferma Ronchi».

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