[29/09/2008] Consumo

Crisi Usa: il piano delle tre R frena la caduta, non evita l´atterraggio

LIVORNO. Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all´altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: «Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene». Il problema non è la caduta, ma l´atterraggio. Scippiamo il folgorante incipit del film “L’odio” di Mathieu Kassovitz, perché da quando si è innescata la crisi finanziaria l’eco di quelle parole e le immagini di quelle prime scene raffiguranti una molotov accesa che rotola verso il Pianeta, ci ritornano martellanti in testa come uno spot pubblicitario.

Di fronte alle analisi che giornalmente leggiamo sui maggiori quotidiani nazionali non da economisti, perché non lo siamo, ma da attenti osservatori, registriamo un dibattito tutto impostato sul come si esce dalla crisi attraverso regole e regolucce più o meno ferree, ma che tutto devono fare, tranne riorientare il modello economico verso una maggiore sostenibilità ambientale e sociale. Verso, per dirla in altri termini, un migliore governo dei flussi di materia e dei flussi di energia. Mentre stiamo precipitando, insomma, gli analisti sembrano dire: “Fino a qui tutto bene”.

Tutto deve cambiare perché nulla debba cambiare è il motto di questa fase dove l’ultima notizia dell’approvazione del piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari, il più importante della storia americana, non si sa quanto risolva, quali benefici abbia per la crisi e ben poco ci dice su come si andrà avanti nell’affrontarla, visto che siamo ancora tutti nell’occhio del ciclone e la fine dello tsunami e le sue conseguenze sono ancora tutte da vedere.

La logica del “Fino a qui tutto bene” sembra però regnare sovrana come si evince da quanto scrive Il Sole 24 ore on line stamani relativamente al nuovo pacchetto di interventi «che deve salvarci da una crisi sistemica della finanza mondiale». Un pacchetto che «ha già un soprannome, il piano delle tre R: Reinvestire, Rimborsare, Riformare». Che cosa significa? «Reinvestire nei mercati finanziari in crisi per isolare "Main street" da "Wall street", per proteggere dunque l´economia reale dalla crisi dell´economia finanziaria; Rimborsare il contribuente americano, attraverso partecipazioni azionarie nelle istituzioni in difficoltà e attraverso i possibili profitti sugli strumenti finanziari, che oggi non hanno mercato, ma che domani potrebbero tornare su valori di normalità. Riformare Wall street e le sue brutte abitudini attraverso limiti sugli stipendi per chi approfitterà del piano. In questo capitolo si prevede anche l´eliminazione dei "paracaduti d´oro", garanzie per i compensi del manager che si sentivano liberi a quel punto di procedere con operazioni spericolate. Non solo: si propone di andare a recuperare fondi dai bonus pagati ai manager in passato sulla base di operazioni che non hanno poi dati i profitti previsti».

Dunque la programmazione di un futuro economico migliore passerebbe per queste tre R ciascuna delle quali, dice sempre il Sole, «esprime poi approfondimenti "verticali". Ad esempio, Reinvestire, significa anche garantire che le erogazioni dello stato siano condotte con cautela e controlli».

Tutto qui. L’elefante ha partorito il topolino, insomma, e ci domandiamo come queste R funzioneranno di fronte alle prossime folate del petrolio o alle prossime bolle che si gonfieranno, ma soprattutto vogliamo ancora una volta osservare quello che a noi pare uno vero e proprio svarione nell’analisi. Dopo il crack del ’29 l’economista John Maynard Keynes scrisse nel 1936 la “Teoria generale dell´occupazione, dell´interesse e della moneta”. In quell’opera Keynes cercando di spiegare che cosa avesse ridotto così drasticamente la produzione di beni e di servizi, prese in considerazione le risorse naturali degli Usa e, giudicandole ancora abbondanti, le escluse dalle motivazioni della suddetta riduzione della produzione. In quella dunque, come dice Michele Serra, che è ormai l’Era delle semplificazioni, ahi noi, vogliamo quindi adeguarci per una volta e porre una domanda semplice: perché se nel 1936 gli economisti, di fronte alle crisi, si ponevano almeno il dubbio di verificare in quali condizioni fossero le risorse ambientali, oggi, di fronte alle nuove e drammatiche crisi e con quelle risorse ambientali che notoriamente si stanno riducendo drasticamente, la questione è stata cancellata del tutto persino dal dibattito?

Questa francamente ci sembra la cosa più drammatica anche perché, come abbiamo già detto più volte, se si avverte la necessità di mettere mano a ciò che si è dimostrato non funzionare, sarebbe dovuto che lo si facesse tenendo di conto che l´economia è un sottosistema dell’ambiente e non viceversa. Possibile che una cosa che appariva evidente decenni fa e che il Rapporto Stern e l’Ipcc recentissimamente hanno riportato con forza all’attenzione generale, ora sia addirittura fuori discussione? Proprio quando gli indicatori ambientali (pochi, non standardizzati, ma comunque tutti concordi sui trend) indicano che il pianeta è in riserva…

Fino a qui… tutto male... e il problema è che l’atterraggio è ancora lontano.

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