[29/09/2008] Recensioni

La Recensione. Grandi opere di Marco Cedolin

Negli ultimi decenni una quantità sempre maggiore di risorse pubbliche, ambientali e sociali sono state investite nella costruzioni di grandi opere infrastrutturali ritenute indispensabili, strategiche e prioritarie per la crescita e lo sviluppo del paese. Uno sviluppo caratterizzato, appunto, dall’aumento continuo della crescita economica con produzione sempre maggiore di merci e servizi, con conseguente e crescente consumo di energia e materie prime (e dunque crescente produzione di rifiuti di processo e di prodotto). Però le risorse energetiche, le materie prime hanno un limite fisico al loro sfruttamento e lo stato dell’ambiente non è dei migliori. Nel frattempo però i progetti di grande infrastrutture in tutto il mondo sono cresciuti e crescono.

Ecco dunque che Marco Cedolin - studioso della società contemporanea – analizza nel dettaglio alcune grandi opere progettate e realizzate nel suo libro “Grandi opere . Le Infrastrutture dell’assurdo”. Dalla Tav al Mose, dalla Diga delle Tre Gole in Cina alle 300 isole artificiali di Dubai, dal deposito per le scorie nucleari di Yucca Mountain all’Eurotunnel, dalla Stazione spaziale internazionale Iss all’oleodotto Btc passando anche per il grande inceneritore del Gerbido, l’autore cerca di ricostruire gli intrecci delle società interessate alla loro realizzazione, la ramificazione dei loro collegamenti con il sistema politico e con i mass media, le connivenze fra interessi pubblici e privati, le corrispondenze a livello internazionale nel contesto della globalizzazione economica contrassegnata dalla speculazione finanziaria.

Dunque si interroga sull’identità di coloro che da alcune grandi opere ricavano vantaggi a scapito di altri (come nel caso della realizzazione di alcune grandi dighe); riflette su come attraverso le grandi opere si costituiscono immensi capitali privati e su come spesso queste opere non siano indispensabili alla popolazione denunciando come tale esigenza venga imposta alle volte, attraverso guerre, crisi energetiche e condizionamenti sociali.

E fondamentalmente critica il sistema economico basato unicamente sulla crescita del Pil che pretende di rispecchiare il benessere di una società. Ma soprattutto non avanza alcun dubbio sulla soluzione a questo stato di cose: la decrescita. Intesa “non come recessione ma come riappropazione della centralità della persona e dei suoi reali bisogni; libertà dall’ossessione dell’economismo”; “riscoperta della qualità della vita, dei rapporti con il prossimo, della convivialità e del lavoro concepito come valorizzazione delle proprie qualità; dell’identità culturale e dell’appartenenza locale, come risposta all’appiattimento sociale imposto dalla globalizzazione e dal gigantismo”. Una soluzione che guarda all’ambiente come un bene da salvaguardare, conservare e proteggere.

Ma la realtà è fatta dai grandi numeri e il mondo viaggia sulla sua strada inseguendo il dogma della crescita a tutti i costi. Una crescita fra l’altro, sempre stata associata alla grandezza delle infrastrutture e delle grandi opere che si traducono in consumo di territorio, di materia e di energia, in produzione di rifiuti.

La cultura della manutenzione, assente in Italia, non fa comunque parte del circuito virtuoso della crescita così come viene perseguita anche su scala globale.

C´è da tenere di conto, comunque, che i due terzi dell’umanità, quella parte di popolazione mondiale che consuma meno risorse, ha un reddito ai limiti del sostentamento o al di sotto del livello minimo di povertà, per cui i bisogni e gli obiettivi di questa parte di popolazione sono indirizzati innanzitutto al sostentamento con ben poche attenzioni al tema della sotenibilità. Così che, viene spesso recepita come ingiusta e vessatoria la richiesta loro rivolta di preservare l’ambiente e le risorse naturali perché patrimonio dell’umanità.

Questi paesi chiedono sì una revisione del modello dello sviluppo iniquo che domina oggi il mondo, però chiedono (e lo dimostrano in tutte le sedi Onu e in tutte le conferenze internazionali della Fao) anche crescita economica.

In un contesto di tal genere è difficile che la proposta della decrescita possa raggiungere il necessario appeal ed anzi, potrebbe rischiare perfino di aumentarela forbice dell’ingiustizia sociale nel mondo.

La chiave di volta, secondo noi, sta esattamente nell´idea e nella pratica di una economia ecologica. Una economia che assuma la sostenibilità come criterio direttore di qualsiasi investimento e di qualsiasi opera, grande o piccola che sia. Insomma, nel superamento della concezione deterministica e meccanicistica dello sviluppo basata sulla presunta benefattrice “mano invisibile” del mercato.

Detto questo, a Marco Cedolin va il merito di aver fatto un lavoro meticoloso di ricerca e di analisi e disvelamento di tutto ciò che si cela dietro alle grandi opere. Un lavoro interessante che può stimolare l’individuo alla riflessione e all’analisi di certe realtà.

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