[02/10/2008] Consumo

Greenpeace fa la Lista nera dei pirati della pesca

LIVORNO. Greenpeace International ha reso noto oggi alla West and Central Pacific Fisheries Commission in corso a Pohnpei, negli Stati federati di Micronesia, la sua lista nera on-line della pesca "Illegal, Unregulated and Unreported" (Iuu) che mette in fila i pescherecci pirata, i loro armatori e gli Stati che li ospitano o forniscono bandiere ombra. Il summit di Pohnpei sta discutendo della necessità di una maggiore regolamentazione della pesca del tonno nel Pacifico dove la pesca illegale del tonno è molto diffusa.

La pesca pirata è diventata un flagello mondiale ed un business multimiliardario che colpisce pesantemente le piccole comunità dei pescatori locali dei Paesi in via di sviluppo, come i piccoli Stati insulari del Pacifico, che non si possono più permettere di essere derubati dei loro mezzi di sostentamento. Peccato che alcuni di questi Stati siano nella lista di quelli che, per pochi dollari, forniscono le bandiere ombra per i pirati del mare.

Secondo Greenpeace la pesca illegale «Lascia l´ambiente marino pieno di lividi e martoriato, minando la sicurezza alimentare e tentativi di gestione sostenibile». La Iuu blacklist di Greenpeace è il primo documento indipendente sui pescherecci pirata e sul sostegno dato loro da armatori e governi.

«Ogni anno numerose imbarcazioni vengono osservate e registrate mentre sono impegnate nella pesca pirata in tutti i mari e gli oceani - spiega Sari Tolvanen, International oceans campaigner di Greenpeace - Ma la mancanza globale di volontà politica e le scarse risorse per rafforzare i controlli da parte degli Stati costieri, permettono che i pescherecci e le compagnie dietro di loro continuino a pescare. Non è realisticamente possibile scoraggiare i pirati chiedendo loro di spostarsi più lontano. In primo luogo, devono entrare in vigore norme chiare e rigorose che impediscano la pesca pirata, e pesanti sanzioni per coloro che vengono catturati».

Il database di Greenpeace integra l´Iuu database lanciato nel 2007, che contiene i pescherecci registrati nella blacklisted ufficiale redatta dalle fisheries management organisations regionali e dai governi. Le differenze tra le due liste nere della pesca sono evidenti: per Greenpeace il pirata più pericoloso dei mari è Taiwan con 15 pescherecci segnalati, seguono Filippine e Vanuatu con 5, e poi Corea del sud 4, Portogallo 4, Equador 3, Giappone 3, Panama 3, Russia 3, Bolivia 2, Cina 2, Cuba 2, Estonia 2, El Salvador 1, Marshal Islands 1, Samoa Americane 1.

La Official Blacklist mette al primo posto gli 11 pescherecci con bandiera dell´Indonesia, seguita dalla Georgia con 9, e poi da Panama 6, Sierra Leone 6, Togo 5, Cina 4, Guinea Equatoriale 4, Colombia 3, Corea del Nord 3, Cambogia 2, Russia 2, Venezuela 2, Afghanistan 1, Guinea 1, Marshal Islands 1, Seychelles 1, Spagna 1, Taiwan 1, Uruguay 1. Ancora più preoccupante è che la lista ufficiale nomini 35 pescherecci pirata che non hanno bandiera di Stato o che la cambiano così rapidamente e in continuazione da non sapere da dove vengano o chi sia l´armatore.

Tolvanen spiga che «Attualmente la Official lists contiene informazioni davvero limitate e non include i nomi delle compagnie che stanno dietro le navi da pesca pirata. E´ giunto il momento di una maggiore trasparenza riguardo agli acquirenti del pesce e sui venditori al dettaglio, di rendere pubblico chi è coinvolto nella pesca pirata e che gli armatori inizino a prendersi le responsabilità che comporta il loro ruolo».

Greenpeace invita tutti i rivenditori e commercianti di pesce a garantire che non vendono pesce pescato illegalmente e che non hanno contatti commerciali con gli armatori dei pescherecci pirata.
Greenpeace chiede all´Onu di creare una specie di "Interpol for Oceans" che metta a disposizione di tutti, con un semplice click su un sito internet, i dati completi di pescherecci, armatori e commercianti coinvolti nella pesca di frodo. Uno strumento che sarebbe utile soprattutto per le autorità dei Paesi in via di sviluppo che non hanno risorse necessarie a svolgere indagini e controlli in proprio. A questo andrebbe affiancata la creazione di una rete di Aree marine protette che copra almeno il 40% dei mari e degli oceani del mondo, con regolamenti appropriati per la pesca sostenibile, per difendere il mare dal supersfruttamento.

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