[10/10/2008] Comunicati

La crisi rotola come pietre, ma le reti non le mette nessuno

LIVORNO. Like a rolling stone. L’immagine che richiama il titolo della canzone di Bob Dylan del 1966, ben si addice alla situazione in cui ormai ora dopo ora si presenta la crisi economico finanziaria globale. Una crisi che impressiona, questa è la prima osservazione da fare, per la sua velocità, dato che anche i più pessimisti (noi compresi) ritenevano arrivasse ad inizio 2009.

Anche stamani un susseguirsi di bollettini dalle agenzie di stampa che indicano crolli a catena delle borse di tutto il mondo, che registrano titoli sempre più al ribasso: perdono oggi oltre il 10% la Borsa di Londra e quella di Francoforte; apre in forte ribasso la Borsa di Parigi, sprofonda a -24% in una settimana la borsa di Tokyo, che ha chiuso oggi a -9,62%. Così a Hong Kong -7,03%, Seul -4,13% - Sydney -8,34% - Mumbay -8,39% - Bangkok -8,02%.

Panico è la parola più diffusa, sguardi increduli sono quelli che appaiono dalle immagini degli operatori nei siti web; nessuno sa dire quando e come finirà perché nessuno si aspettava che l’effetto domino innescato dalla crisi finanziaria americana avesse degli effetti così repentini.

E non sembrano avere grande successo i tentativi di rassicurazione della situazione interna: la velocità con cui corrono le immagini e le informazioni, una delle caratteristiche della globalizzazione, che offre in diretta la situazione in costante e veloce trasformazione, non aiuta certo a stare sereni.

Altrettanto non può rendere tranquilli il trascinamento che il crollo dell’economia di carta sta già avendo su quella reale: alla Fiat, a distanza di una sola settimana il periodo di cassa integrazione stabilito è stato raddoppiato da una a due settimane, per 3.500 operai. Che salgono a 4.700, con i 1.200 addetti alla produzione di ponti e cambi della Powertrain Iveco di Torino, che rimarranno a casa (per ora) solo una settimana. La multinazionale Eaton chiude lo stabilimento di Massa e licenzia 345 operai; la Lucchini a Piombino ne mette in cassa integrazione 450, solo per citarne alcune, ma purtroppo la mappa delle aziende in difficoltà si aggiorna anche questa a ritmo quotidiano e avrà un effetto a cascata, anche questo, sui settori ad esse collegate.

Un contagio dell’economia reale da parte dell epidemia che ha colpito il settore finanziario, che corre a velocità inaspettata, certo, ma che non poteva dirsi inatteso e sul quale invece la politica pare nel suo insieme assolutamente impreparata. Oltre che altrettanto inadeguata. Una situazione su cui, anzi, si cerca di minimizzare definendo, come ha fatto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, «precauzionale» il piano di salvataggio varato in quattro e quattr’otto dal Governo.

O su cui si continua ad intervenire con gli effetti annunci: «Italiani non cedete le azioni, adesso vi taglieremo le tasse» è l’appello del premier Berlusconi. E il sospetto che quanto più si interviene per dire "state calmi" e quanto più si reagisce in modo opposto è più che fondato.
In ogni caso, a un “collasso globale” quale quello cui stiamo assistendo, non si contrappone una governace di pari livello. Anzi, per converso si assiste ad una sorta di liberi tutti che vede ogni singolo Stato sostanzialmente agire per conto suo. Strategia che difficilmente potrà incidere visto che se la radice della crisi è (come è) globale, non a livello locale ci si potrà mettere l´impermeabile ma non si arginerà l´uragano.

Si arriva così al terzo punto: i riflessi della crisi sul prelievo di materie prime (e viceversa). Che paradossalmente potrebbero essere anche positivi, riflettendosi con una minore pressione in tal senso, ma che difficilmente potrà rendere soddisfatti, si suppone, nemmeno i più accaniti sostenitori della decrescita. Dato che se l’economia non è orientata verso la sostenibilità ambientale e sociale, la stagnazione o la recessione equivalgono certamente a meno prelievi di materia e a un minor consumo di energia, ma anche a un drammatico numero di lavoratori che finiscono per strada.

Che fare dunque? Intanto - mentre si vede bene cosa non fare (leggi l´articolo relativo alla lettura della crisi da parte del ministro Prestigiacomo) va registrato il fatto che anche i liberisti più estremisti in questa fase non gridano al lassez faire del mercato ma sono tutti dalla parte dell’intervento statale. E questo lascerà il segno (un segno positivo secondo noi) per un bel po´ a venire. Dopodiché, una buona fetta delle speranze per un’economia maggiormente orientata verso la sostenibilità sociale e ambientale sono riposte nella vittoria di Barak Obama alle elezioni Usa. Perché certamente gli Usa non sono più quel paese che può indicare da solo la direzione al mondo (in questo Panebianco oggi sul Corsera ha pienamente ragione), ma proprio nell’ottica di un multipolarismo virtuoso Barak Obama può rappresentare la svolta. O almeno noi lo speriamo.

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