[15/10/2008] Comunicati

Gli imprenditori hanno sempre ragione?

LIVORNO. «Per la prima volta, dopo nove anni consecutivi di crescita, per il settore delle costruzioni si è aperta una fase di difficoltà. Fase iniziata nel secondo semestre del 2008 e che, secondo le stime Ance, tenderà a peggiorare nel corso del 2009». Parola di Paolo Buzzetti, presidente dell´Associazione nazionale costruttori che ha presentato un´analisi che rileva un calo del settore edilizio dell´1,1% nel 2008 e dell´1,5% nel 2009, «dovuta non solo all´andamento ancora pesantemente negativo delle opere pubbliche, comparto per il quale il trend negativo in atto dal 2005 si conferma anche nel 2008 e nel 2009 (-3,7% e -4,7%), ma anche alla forte frenata della nuova edilizia abitativa (-2,8% nel 2008 e -3% nel 2009). Un elemento nuovo e preoccupante, che è sostanzialmente il risultato delle difficoltà, dovute agli effetti della crisi finanziaria internazionale, incontrate dalle famiglie e dalle imprese nell´accesso al credito».

La medicina per la crisi del cemento è quella più prescritta in questi giorni: l´intervento dello Stato, il sostegno alle imprese, la riduzione delle tasse, naturalmente perché «ridare slancio al settore, avrebbe non solo una fondamentale funzione antirecessiva ma rappresenterebbe anche una risposta ai fabbisogni veri e forti sia delle famiglie che dell´economia italiana: in primo luogo casa e infrastrutture». Siamo alle solite: il modello è in crisi, quindi bisogna rilanciare lo stesso modello...

Secondo l´Ance, in un Paese di milioni di case vuote e di seconde case, e dove le percentuale di case di proprietà è il record mondiale (circa l´80%), «gli investimenti in abitazioni non hanno superato la domanda reale di alloggi. Questo vuol dire che in Italia non c´è né ci sarà alcuna bolla immobiliare». Quindi se non c´è la bolla si tratta di una crisi congiunturale, normale per qualsiasi settore, e non si vede perché ci sarebbe bisogno che lo Stato corra in soccorso per fare i milioni di case che occorrono secondo l´Ance per soddisfare un fabbisogno abitativo «ancora lontano dall´essere soddisfatto, non solo sul fronte della proprietà ma anche su quello dell´affitto. Attualmente - ha detto Buzzetti - sono circa 4.400.000 le abitazioni in affitto in Italia, che rappresentano il 18,8% del totale a fronte del 72% di case in proprietà. Una quota nettamente inferiore rispetto alla Germania, che ha il 57,3% di alloggi destinati alla locazione, all´Olanda con il 47,3% o alla Francia, con il 40,7%».

Mettendo da parte il fenomeno diffusissimo degli affitti in nero e quello emergente dei Piani di edilizia economica e popolare che si trasformano in villaggi di seconde case, sta proprio nelle cifre presentate dall´Ance la ragione della crisi dell´edilizia italiana, che è una crisi di "singolarità" del mercato, di investimenti nella rendita più brutale, fatta di invasione del territorio, banalizzazione e poca attenzione ai bisogni di chi della casa ne ha davvero bisogno. L´imponente cementificazione del territorio italiano non ha risolto i problemi, li ha invece ampliati ed è stato un comodo rifugio speculativo anche per l´economia reale che, mentre delocalizzava all´estero, investiva nel mattone costiero e collinare, nelle villette a schiera e nelle imprese edilizie dei "furbetti del quartierino", non certo nell´edilizia economica e popolare e in un mercato degli affitti accessibili (solo 1.900 abitazioni di edilizia pubblica nel 2004, come ammette la stessa Ance). E il Piano casa varato dal governo rischia di non risolvere nessun problema, contiene quella discrezionalità e quella deregolamentazione che ha permesso gli abusi e la distruzione del territorio e del paesaggio che l´Italia non può più permettersi.

Non è un caso se alle lacrime dei costruttori edili si aggiungano quelle dei petrolieri per il prezzo del greggio in ribasso e che ora chiedono di togliere la (abbastanza innocua) "Robin Tax" di Tremonti sulle accise. Buzzetti ha perfettamente ragione quando dice una cosa: l´edilizia è stato il motore fondamentale dell´economia. Gli effetti li vediamo non solo in Italia, ma anche in America e Spagna e un po´ in tutto il mondo, dove l´edilizia è stato anche il pesantissimo nocciolo duro che, sprofondando, ha ingoiato un´economia che aveva il solido aspetto di case che sono oggi prive dei loro inquilini falliti e impoveriti e che si sono trascinati dietro le banche, in questa specie di sindrome cinese, di catastrofe nucleare dell´economia virtuale e della rendita.

Ma quel che nessuno (a parte qualche populista) fa notare agli ex cantori del libero mercato, infastiditi dalle pianificazioni edilizie e dai "lacci e laccioli" pubblici, è che in questo lungo periodo di vacche grassissime e di pascoli ben concimati, i guadagni delle imprese sono cresciuti esponenzialmente sfruttando tutti i vantaggio di un´economia deregolamentata e globalizzata, mentre i salari sono rimasti fermi e hanno perso potere di acquisto e la crescita infinita e violenta ha eroso territorio, ambiente, acqua e prodotto inquinamento, ed occupazione di suoli fertili. Insomma la privatizzazione dei guadagni in poche e ben protette mani e la socializzazione dei rischi e dei danni in una massa di cittadini che guarda sempre più con invidia i ricchi sempre più ricchi, sperando di diventare come loro con una botta di fortuna al superenalotto.

Il tentativo, che sta riuscendo, è ora quello di socializzare la crisi e di non pagare privatamente i costi degli ingenti guadagni passati, a cominciare dai costi ambientali, visto che proprio l´Italia è alla testa di chi non vuole approvare il pacchetto energetico europeo perché, tanto, il nostro contributo alla riduzione dei gas serra sarebbe solo dello 0,6% a livello globale... Se tutti gli altri Stati facessero come noi finiremmo bolliti nei gas serra molto presto.

Forse è arrivato il momento di mettere in discussione un assunto che in Italia è diventato dogma di fede: gli imprenditori hanno sempre ragione. Quando va bene vanno aiutati ad andare più forte, quando va normalmente vanno aiutati a non rischiare troppo, quando va pessimamente deve intervenire lo Stato a salvarli da un disastro del quale sono in buona parte colpevoli perché con l´economia canaglia e quella virtuale ci hanno giocato, ci hanno fatto buoni affari e spesso l´hanno spolpata fino all´osso.

Il richiamo alla responsabilità nazionale è forte e patriottico, anche da parte di chi ha delocalizzato all´estero e ha portato i soldi nei paradisi fiscali, una responsabilità di cui c´è sicuramente bisogno perché il terremoto dell´economia mondiale devasterà molte solide fondamenta e toccherà tutti, sia gli iper-lberisti repentinamente convertiti alla mano salvifica dello Stato, sia chi ha un lavoro precario.

Ma chi ha guadagnato tanto e bene in questi ultimi anni, chi sulla precarizzazione del lavoro, la deregulation economica ed ambientale e gli appalti pubblici ha fatto lucrosi profitti, ora dovrebbe sentire la responsabilità di immettere parte di quei guadagni in quello che chiamano ad ogni spron battuto "sistema Paese" e ad iniziare a prendersi le responsabilità che derivano dalla politica economica di questo Paese che hanno indirizzato, trovando sempre in qualsiasi governo interlocutori più proni che disponibili.

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