[24/10/2008] Comunicati

Se l´industria italiana del futuro smettesse di guardare al passato....

LIVORNO. L’imperativo categorico dell’industria e delle piccole e medie imprese italiane (che rappresentano oltre il 90% del totale delle imprese), di fronte alla più grande crisi che si sia registrata dagli anni Trenta ad oggi, è ripartire. Resistere e ripartire e non potrebbe essere altrimenti. La domanda però è come. Con più Stato ma solo per l’emergenza; con più mercato; con meno mercato; con meno Stato; con più regole; con più controlli; con più controllori: la ridda di ricette è varia e variopinta. E più nello specifico: ripartendo dagli aiuti a pioggia, oppure dalle rottamazioni di auto ed elettrodomestici?

Il dato oggettivo è che la crisi finanziaria si sta abbattendo sull’economia reale, ma i tempi e i danni sono solo ipotizzabili. Danni economici (su cittadini, imprese ecc.) e danni ambientali, sotto forma quest’ultimi anche di mancati investimenti – causa crisi - per ridurre gli impatti del malgoverno dei flussi di energia e di materia (vedi pacchetto clima).

Lo scenario sarebbe quindi adatto, vedi le indicazioni del Green economy initiative avviata dall’Unep (greenreport e Nova del Sole24Ore di ieri), per riconvertire l’economia verso la sostenibilità. Un’economia ecologica che riparte dai dati duri, ovvero dalla disponibilità e dall´uso efficiente delle risorse energetiche e materiali. Occasione che questo governo e anche Confindustria, non sembrano voler cogliere, dimostrando nei fatti di parlare di futuro, ma di guardare al passato.

Oggi però c’è un segnale (sarà forse perché è un giorno pari?) da parte di Emma Marcegaglia che va nel senso opposto. Imprenditrice e soprattutto numero uno di Confindustria, la Marcegaglia intervistata da Repubblica respinge l’idea della sola rottamazione delle auto o degli elettrodomestici (peraltro già in essere almeno fino al 31 dicembre) per puntare invece su «un piano di risparmio energetico che preveda agevolazioni fiscali per tutti coloro che riducono le emissioni e il consumo, attraverso investimenti nell’innovazione e nella ricerca».

E aggiunge: «Se le industrie dell’auto e degli elettrodomestici si muoveranno in questa direzione, bene. Perché ci sono anche altri settori da coinvolgere: dall’edilizia, al ciclo dei rifiuti, all’industria dell’illuminazione e via dicendo». Una vera svolta (verso la sostenibilità diremmo noi di greenreport) rispetto al governo e anche rispetto a certe posizioni paludate della stessa Confindustria anche nelle settimane scorse. Uno smarcamento che speriamo non sia solo lessicale e che rimanga anche nei giorni dispari.

Perché da parte del governo e del ministro Scajola in particolare, i segnali che arrivano non solo sono sconfortanti, ma pure confusi e confusionari. Il ministro respinge l’idea degli aiuti a pioggia per l’auto stile piano Usa dicendo che i soldi vanno dati alla gente – attraverso appunto il meccanismo della rottamazione - per comprarsi le auto o gli elettrodomestici nuovi.

Insomma niente che non sia già stato detto o fatto (ripetiamo la rottamazione è in atto già fino al 31 dicembre) ma la novità sarebbe, stando al Sole, che «una delle idee più avanzate è estendere gli incentivi del programma Industria 2015, che ha nella mobilità sostenibile e nell’efficienza energetica due dei suoi pilastri». Che strano è? Ora si scopre (loro scoprono ora...) che Industria 2015, iniziativa del precedente governo e in particolare del vituperato ministro Bersani, aveva già in sé due pilastri che oggi più che mai possono spostare gli equilibri della ripresa appunto dell’industria.

Il mercato da solo ci sarebbe (ed eventualmente come, a che prezzo e in che tempi) arrivato a questo orientamento? Qualcuno può sostenere con argomenti che rilanciare con finanziamenti pubblici le grandi opere (quale che siano) per la ripresa dell’economia o investire per porre rimedio al dissesto idrogeologico del nostro paese (vedi tragedia del cagliaritano), investire nella ricerca, investire nel risparmio energetico, investire nelle fonti rinnovabili, investire nella manutenzioni delle reti, investire nel risparmio di materia, sia la stessa cosa? Non sarebbero questi nuovi posti di lavoro? Non sarebbe Pil? Non sarebbe crescita? Non sarebbe innovazione dell’industria peraltro indispensabile per un’economia che non voglia dirsi ecologica ma anche semplicemente duratura?

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