[27/10/2008] Comunicati

Troppi omissis nel dibattito istituzionale

PISA. Gasperini su greenreport ha commentato la relazione di Domenici alla assemblea dell’ANCI tenutasi a Firenze rilevando criticamente le poche proposte specialmente in riferimento ai temi ambientali. Non sono in grado di dire se l’annotazione critica è giustificata, certo è in ogni caso che i comuni da tempo sembrano dibattersi nella morsa infernale dei tagli che evidentemente non aiuta una lucida e robusta iniziativa su aspetti di grande attualità fortemente condizionanti il ruolo delle istituzioni locali.

Una conferma la si è avuta –almeno a mio giudizio- anche nella recente assemblea nazionale dell’UPI dove mi pare abbiano dominato aspetti ‘esistenziali’ ancorché legittimi lasciando poco spazio a questioni quali il governo del territorio e appunto anche ambientali.

Temi invece che hanno connotato e animato l’incontro di Asiago dove i 2000 comuni montani e l’UNCEM hanno denunciato con forza gli effetti che produrrebbe sulla vita del paese e in particolare sull’ambiente un ulteriore abbandono dei piccoli comuni montani che i tagli governativi rischiano di condannare alla più totale emarginazione e degrado.

Si aggiunga –come abbiamo visto a Viareggio nella recente assemblea nazionale di Legautonomie- che le stesse regioni faticano a trovare un giusto rapporto con lo stato ma anche con le istituzioni locali che temono oltre al centralismo romano anche il neocentralismo regionale.

Insomma siamo in presenza di una situazione che per molti versi appare un vero e proprio rompicapo anche senza considerare le aree metropolitane, d’altronde se il titolo V resta da così tanto tempo al palo qualche ragione deve pur esserci.

Tra le questioni che forse meglio evidenziano questa perdurante difficoltà unitamente alle questioni fiscali vi è -a me sembra- proprio quella ambientale intesa come nuova esigenza di un governo del territorio in cui si esplichi al meglio non soltanto in ‘leale collaborazione’ ma individuando al contempo quei livelli di ‘adeguatezza’ che non offre né l’urbanistica né la vecchia filiera istituzionale.

Vorrei per questo prendere spunto da un importante intervento pubblicato su Eddymburg di Giovanni Losavio svolto a Mantova in un incontro nazionale di Italia Nostra. La relazione muove da una vicenda cittadina più volte salita alla ribalta delle cronache nazionali per addentrarsi subito però in una analisi critica delle politiche e normative del paesaggio di cui si discute da tempo specie dopo la pubblicazione del nuovo Codice dei beni culturali. Le critiche non risparmiano naturalmente neppure lo stato, il ministero dei beni culturali soprattutto per i tagli alle sopraintendenze, la gestione dei musei che punta illusoriamente sulle fondazioni trasformando i nostri esperti in piazzisti in giro per USA. Ma l’inghippo vero è individuato –e non è certo una novità dell’ultima ora- nelle regioni sia perché a loro è affidata la valorizzazione considerata inseparabile dalla tutela e sia per il loro affidarsi ai comuni che sono i soggetti più inaffidabili. Sotto questo profilo Losavio critica anche la Convenzione europea sul paesaggio ( e non è il solo) che assegna ‘alla percezione delle popolazioni locali’ un ruolo che è considerato estremamente pericoloso. (Chissà perché le ‘percezioni’ romane debbano per forza essere più rassicuranti).

Ma quel che convince meno in questa analisi come in quella di Asor Rosa e altri ( più cauto mi pare Vezio De Lucia) è che la dimensione nazionale oggi significhi solo o quasi Roma che pure di pessime prove ne ha fornite in grandissima quantità da tempo immemorabile e inequivocabilmente convincenti. Qui non manca solo il riconoscimento di una ripartizione di ruoli quali quella che prevede la Costituzione dove la competenza dello stato delle misurasi e ‘allearsi’ con le altre competenze le quali tutte insieme configurano l’ordinamento statuale odierno non più riconducibile unicamente allo stato ‘romano’ (lo stato persona come si diceva una volta). Ma manca soprattutto quel profilo a cui si era cercato negli ultimi anni di rimediare con le modifiche a quell’art 9 della Costituzione sempre richiamato a cui si voleva in coerenza anche con la Convenzione europea del paesaggio aggiungere che paesaggio oggi significa anche natura e molto altro.

In buona sostanza il nuovo ordinamento costituzionale è indispensabile per fronteggiare una nuova concezione del paesaggio non più separabile nella gestione da altre discipline e aspetti che nulla toglie alla responsabilità dello stato centrale ma semmai la rafforza e la qualifica ma non sul piano burocratico secondo quella concezione del ‘comando e del controllo’ ormai è obsoleta. E qui colpisce -e non solo in questa relazione- il silenzio su quegli aspetti che meglio e più di altri oggi danno una idea di cosa significa al tempo stesso superare la gestione meramente urbanistica e intrecciare profili e temi fino ieri o non affrontati o affrontati in logiche di settore. Mi riferisco in particolare alla legge 183 e alla legge 394. Due leggi che a distanza ravvicinata ebbero il merito di introdurre nel governo del territorio una forte innovazione; quella della pianificazione dei bacini idrografici e dei parchi, ossia due ambiti territoriali caratterizzati non tanto da confini amministrativi ma ambientali paesaggio incluso. Entrambe queste leggi sulla base di leggi delega sono state recentemente pesantemente compromesse al punto che ai piani dei parchi pochi mesi fa è stato sottratto recentemente dal nuovo Codice dei beni culturali proprio il paesaggio nonostante i buoni risultati conseguiti in questi anni.

C’è stato insomma un bel recupero centralistico che contrasta palesemente con il nuovo dettato costituzionale e con il gran chiacchierare di federalismo. E al riguardo non basta ripetere che la competenza sul paesaggio è dello stato perché anche per l’ambiente la competenza è dello stato, ma come ripete ormai inascoltata la Corte costituzionale la gestione di queste competenza richiede ormai una trasversalità che oggi francamente non ci sembra di intravedere.

In un recente dibattito sui parchi in San Rossore Caracciolo rilevò autocriticamente che Italia Nostra avrebbe dovuto occuparsene di più, ma nella relazione di Losavio non se ne trova traccia; è una caso? Quando si prenderà atto –e ciò non riguarda è ovvio unicamente Italia nostra- che stato,regioni, enti locali sono una coperta corta per garantire un adeguato governo del territorio e quindi anche del paesaggio? Se da quella filiera resteranno tagliati fuori bacini e parchi comunque la si giri non si riuscirà a intervenire a quei livelli di adeguatezza e giustezza che sono indispensabili alla concreta ed effettiva attuazione del nuovo titolo V ed anche del nuovo codice delle autonomie.

*Responsabile nazionale dei parchi e delle aree protette di Legautonomie

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