[28/10/2008] Comunicati

Garnaut (lo Stern australiano): Insufficienti i piani di riduzione delle emissioni

FIRENZE. Dal 2000 le emissioni carboniche globali sono cresciute ad un ritmo del 3% annuo. Crescita che è superiore al 2% annuo degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, e all’1% di aumento stagionale che ha caratterizzato gli anni 90. E’ il dato più significativo contenuto nel rapporto presentato al governo laburista australiano dall’economista Ross Garnaut, che è stato soprannominato “lo Stern australiano” e di cui vi avevamo già dato notizia il 20 ottobre scorso.

L’edizione di ieri del “Guardian” ha pubblicato un ulteriore approfondimento relativo alle analisi effettuate da Garnaut, associato di economia all’università di Melbourne, che ha subito nelle passate settimane gli attacchi della pubblicistica scettica australiana, a causa della drastica analisi che il suo staff ha presentato il 30 settembre. Secondo il rapporto Garnaut, le previsioni di crescita delle emissioni contenute nel quarto rapporto Ipcc (nel caso peggiore, il 2,5% ogni anno) vanno aggiornate al rialzo, essendo previste in crescita del 3% fino al 2030.

Va tenuto presente che la maggior parte delle politiche governative attuate nel pianeta per combattere il surriscaldamento climatico si basano sul tasso di crescita previsto negli scenari “mediani” tra quelli proposti dall’Ipcc: ciò significa che gli obiettivi di contenimento della CO2 entro un valore-soglia di 450-550 ppm (attualmente la concentrazione della sola anidride carbonica è di 383 ppm, mentre considerando gli altri gas serra il valore è circa 430 ppm CO2 equivalente) potrebbero rivelarsi fallaci in conseguenza di un tasso di crescita maggiore del previsto.

Come già vi abbiamo dato notizia su greenreport, altri analisti hanno già aggiornato al ribasso il tasso di emissioni accettabili per contenere l’aumento delle temperature medie entro i 2° C: ad esempio, lo stesso Nicholas Stern ha avvertito il governo inglese che, mentre in precedenza una concentrazione di CO2 di 550 ppm equivalente poteva essere obiettivo da perseguire, adesso è auspicabile contenere il tasso di emissioni entro un valore massimo di 500 ppm eq (circa 450 ppm di CO2 “pura”), pena un aumento di temperatura eccessivo, con le associate conseguenze sul sistema climatico. Il problema è che contestualmente sono stati aggiornati al rialzo i costi: non più l’1% del Pil, ma il 2% è adesso la cifra annuale che, secondo l’economista inglese, va investita per contrastare gli effetti del surriscaldamento globale.

Secondo Garnaut, gli obiettivi di riduzione delle emissioni contenuti nel piano proposto dallo stesso governo inglese (che il Guardian definisce «il più ambizioso al mondo», e che prevede riduzioni del 3% annuo fino al 2050) si stanno rivelando, alla luce dei nuovi studi effettuati, insufficienti: le nazioni più sviluppate come Australia, Gran Bretagna e Usa dovrebbero puntare a riduzioni nell’ordine del 5% ogni anno, per ottenere risultati significativi. E il problema è che ciò appare irreale, soprattutto in un momento così complicato per l’economia e la finanza mondiali: «raggiungere l’obiettivo dei 450 ppm richiederebbe riduzioni più stringenti di quanto sembra probabile che avverrà nel periodo fino al 2020. L’unica alternativa sarebbe di imporre vincoli ancora più stretti alle nazioni in via di sviluppo dal 2013, e ciò non appare realistico» - ha dichiarato Garnaut. Nel suo rapporto si legge che «concentrarsi sull’obiettivo dei 450 ppm, in questo momento, potrebbe costituire un ulteriore motivo per non raggiungere un accordo internazionale sulla riduzione delle emissioni. Nel frattempo, il costo di un impegno eccessivo in direzione di obiettivi improbabili potrebbe consegnare alla storia (cioè vanificare, nda) ogni opportunità per concludere un accordo per stabilizzare le emissioni a 550 ppm, obiettivo più modesto, ma comunque difficile».

Quindi Garnaut sostiene che – nell’impossibilità di raggiungere l’obiettivo di far restare l’aumento delle temperature medie sotto i 2° - tanto vale cercare di accordarsi per obiettivi meno ambiziosi di riduzione, cioè quella soglia di 550 ppm che secondo i calcoli più accreditati causerebbe un aumento di 3° delle temperature medie. Aumento che, secondo l’Ipcc e la comunità climatologica accreditata, causerebbe danni di portata enormemente maggiore rispetto ad un incremento di un grado inferiore: volendo prendere ad esempio gli scenari presentati nella scorsa primavera dal National Geographic, una temperatura media di 3° superiore ai livelli odierni potrebbe innescare – tra le altre cose - la trasformazione della giungla amazzonica in una savana, causata dallo stravolgimento delle correnti atmosferiche locali.

La sezione australiana dell’associazione “Friends of the earth” ha così commentato le conclusioni a cui giunge Garnaut: «un target di 550 ppm è una ricetta per il disastro, e anche il più basso obiettivo dei 450 ppm significherebbe girare la testa dall’altra parte rispetto al cambio climatico. La banchisa marina artica e i ghiacciai dell’Himalaya stanno già scomparendo e la bomba del permafrost (cioè il rilascio di gas climalteranti dai terreni situati alle alte latitudini, ndr) incombe. Abbiamo bisogno di tagli più intensi. Il professor Garnaut ha descritto gli obiettivi più impegnativi come illusori, ma continua a rinfocolare un illusorio dibattito politico, che riconosce il problema ma non vuole mettere in atto le soluzioni».

In realtà Garnaut non sembra volersi accodare alla pigolante retorica di chi chiede di continuare con il “business as usual” indipendentemente dai danni che sarebbero associati ad un aumento incontrollato dei gas climalteranti in atmosfera: il suo rapporto analizza pessimisticamente la possibilità di giungere ad accordi significativi (e di rispettarli), e conseguentemente propone di perseguire obiettivi meno ambiziosi e a suo parere più realistici da raggiungere. Ma la casa su cui costruisce la sua analisi poggia su fondamenta d’argilla, almeno se prendiamo per attendibili le previsioni effettuate da gran parte della comunità climatologica accreditata e dall’Ipcc stesso. Previsioni che negli ultimi tempi hanno confermato sempre più spesso di non essere poi così attendibili: ma nel senso che cominciano ad apparire a molti – Garnaut compreso – persino troppo ottimistiche.

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