[29/10/2008] Aria

Il Living planet report del Wwf: pochi miglioramenti, ma c´è ancora la possibilità di salvarsi

LIVORNO. «La buona notizia è che possiamo ancora invertire questa situazione di forte diminuzione del credito ecologico – non è troppo tardi per evitare un’irreversibile recessione ecologica. Questo rapporto identifica le aree chiave necessarie per cambiare i nostri stili di vita e indirizzare le nostre economie verso percorsi più sostenibili». Ci sembra giusto partite da queste considerazioni positive del direttore generale del Wwf International, James P. Leape, per presentare la nuova edizione del Living Planet Report. Lo facciamo perché rispetto all’edizione del 2006 – di cui anche greenreport diede notizia – di miglioramenti ce ne sono stati veramente pochi, per non dire nessuno.

L’Indice del pianeta vivente (Ipv) e l’Impronta ecologica dell’umanità (Ieu), infatti, non registrano variazioni verso la sostenibilità e anche la terza misurazione introdotta per la prima volta quest’anno – l’Impronta idrica (Ii), mostra un trend negativo con una «preoccupazione crescente per molti Paesi e regioni». E allora bisognerà spingere di più su quello che si può e si deve fare, piuttosto che soltanto sulla descrizione di una situazione oggettivamente desolante.

Così ci pare significativo che incrociando i tre indicatori (di cui peraltro i governi del pianeta bellamente si infischiano o quasi) il Wwf affermi che «già si hanno le conoscenze necessarie per intraprendere la maggior parte delle azioni che risultano indispensabili e le soluzioni sono già a disposizione».

«Per esempio – scrive sempre l’associazione ambientalista - questo rapporto utilizza un approccio “a cunei” per illustrare in che modo sia possibile spostarsi verso un’energia pulita; inoltre, un’efficienza basata sulle tecnologie attuali ci consentirà di soddisfare la domanda, prevista per il 2050, di servizi energetici con una maggiore riduzione delle emissioni di carbonio ad essi associati. Il trasferimento di tecnologie e il supporto all’innovazione locale può aiutare le economie emergenti ad aumentare il loro benessere saltando le fasi, proprie dell’industrializzazione, ad alto sfruttamento di risorse».

Non solo: «Le città, che attualmente ospitano più di metà della popolazione umana, possono essere progettate per favorire stili di vita desiderabili e contemporaneamente ridurre al minimo la domanda sugli ecosistemi locali e globali. L’emancipazione femminile, l’istruzione e l’accesso a una pianificazione familiare volontaria possono rallentare o invertire la crescita demografica. L’Impronta ecologica – che rappresenta la domanda dell’umanità sulla natura – e l’Indice del pianeta vivente – che misura la salute generale della natura – costituiscono degli indicatori validi e chiari di quali azioni debbano essere intraprese. Se l’umanità volesse, possiederebbe tutti i mezzi per vivere nei limiti del pianeta e, contemporaneamente, garantire il benessere umano e la salute degli ecosistemi da cui questo dipende».

Detto questo, che ben si incrocia con quanto sosteniamo rispetto al rapporto industria italiana e ambiente in un altro articolo del giornale di oggi, non si può nascondere che dai dati emersi da questo rapporto che prende in considerazione tre periodi sovrapponibili, ma non uguali (Ipv 1970-2005 ; Ieu 1961-2005; Ii 1997-2001): «la domanda di ‘capitale’ naturale mondiale provocata dalle attività umane è di circa un terzo più di quanto il pianeta possa realmente sostenere provocando così il nostro debito ecologico nei suoi confronti». Se potessimo raffigurarlo questo ‘terzo’ di pianeta sarebbe un grosso ‘spicchio’ ‘virtuale’ di Terra sottoforma di acqua, suolo fertile, foreste, risorse ittiche, etc. che l’umanità consuma freneticamente ma che in realtà non esiste perché ancora non si è potuto rigenerare.

Quello che nel 1961 era ancora un credito rispetto al nostro utilizzo di risorse – dice il Wwf - si è trasformato in un debito crescente. Negli ultimi 45 anni la domanda dell’umanità sul pianeta è più che raddoppiata in conseguenza dell’incremento demografico e dei crescenti consumi individuali. «Il mondo sta vivendo l’incubo di una recessione economica per aver sovra-stimato le risorse finanziarie a disposizione – dice James Leape, direttore del Wwf internazionale - ma una crisi ancor più grave è alle porte – ovvero, l’erosione del credito ecologico causato dall’aver sottovalutato l’importanza delle risorse ambientali come base del benessere di ogni società. Se la nostra pressione sulla Terra continuerà a crescere ai ritmi attuali, intorno al 2035 potremmo avere bisogno di un altro pianeta per mantenere gli stessi stili di vita».

Il report mostra come oltre tre quarti della popolazione umana viva in paesi che sono ‘debitori’ in termini ecologici, dove i consumi nazionali hanno abbondantemente superato la capacità biologica nazionale.

«Molti di noi sostengono il proprio stile di vita, la propria crescita economica consumando, in maniera sempre più insostenibile il capitale ecologico di altre parti del mondo – spiega Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia - Nel 1961 quasi tutti i paesi del mondo possedevano una capacità più che sufficiente a soddisfare la propria domanda interna, al 2005 la situazione è radicalmente mutata e molti paesi sono in grado di soddisfare i loro bisogni solo importando risorse da altre nazioni ed utilizzando l’atmosfera terrestre come un’ enorme “discarica” di anidride carbonica ed altri gas ad effetto serra».

Nell’edizione del 2008, come detto, viene resa nota, per la prima volta, la misurazione l’Impronta idrica, sia al livello nazionale che globale che si aggiunge come indicatore aggregato agli altri due, ovvero, l’Impronta Ecologica, l’analisi della domanda di risorse naturali derivante dall’attività umana, e l’Indice del Pianeta Vivente, la misurazione dello stato di salute dei sistemi naturali.

L’Indice del pianeta vivente, compilato in particolare dalla Società zoologica di Londra, mostra come dal 1970 si sia verificato il declino complessivo della biodiversità (della ricchezza della vita sul pianeta) di circa il 30% tenendo conto dell’analisi di circa 5000 popolazioni di 1.686 specie di animali vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci). Nelle aree tropicali la riduzione è più drammatica che altrove, essendo al 50%, e le cause principali sono costituite dalla deforestazione e dalle modificazioni dell’uso del suolo; per le specie di acqua dolce le cause principali sono l’impatto delle dighe, la deviazione dei corsi fluviali e i cambiamenti climatici (per un declino del 35%). Gli ambienti costieri e marini invece soffrono soprattutto di inquinamento e di pesca eccessiva o distruttiva.

«Abbiamo nei confronti del pianeta lo stesso atteggiamento dilapilatorio che le istituzioni finanziarie hanno avuto nei mercati. Siamo abituati a pensare nel breve termine mirando ad una crescita materiale e quantitativa ormai insostenibile basata sullo sfruttamento dissennato delle risorse naturali senza alcuna considerazione delle generazioni che abiteranno questo pianeta dopo di noi – continua Bologna – Gli effetti di una crisi ecologica globale sono persino più gravi del disastro economico attuale».

Per quanto riguarda infine la classifica dei grandi “divoratori del pianeta”, non cambia molto rispetto all’ultima edizione (solo la Finlandia è scesa di qualche posizione): Stati Uniti e Cina hanno le Impronte Ecologiche nazionali maggiori, con circa il 21% ciascuna di consumo della biocapacità globale; ma nei valori pro-capite gli statunitensi mantengono il primato assoluto di grandi ‘divoratori’ del pianeta, richiedendo una media di 9.4 ettari globali (come dire, che ciascun americano vive con le risorse di circa 4.5 pianeti Terra) mentre i cittadini cinesi sono su una media di 2.1 ettari pro-capite (un solo Pianeta).

L’Italia è al 24° posto nella classifica dei paesi con la maggiore Impronta ecologica ed è anche il maggiore consumatore di acqua al mondo con un consumo di 2,332 metri cubi pro capite annui (dei quali 1,142 interni e 1,190 esterni). Davanti a noi abbiamo, nell’ordine, Usa, Grecia e Malesia, dietro di noi, dalla Spagna, al Portogallo, al Canada ecc. Presenta un’ impronta di 4,8 ettari globali pro capite ed una biocapacità di 1,2 ettari globali pro capite. Quindi l’Italia si trova in una situazione di deficit ecologico, di 3,5 ettari globali pro capite. Prima di noi ci sono, tra gli altri, Usa, Danimarca, Australia, Canada, Grecia, Spagna, Regno Unito, Francia, Giappone mentre dietro di noi vengono, ad esempio, Portogallo, Germania, Olanda.

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