[04/11/2008] Comunicati

Election day: we have a dream

LIVORNO. Oggi l’America è al voto. Dopo otto anni di incubo trascorsi con la presidenza Bush negli Usa, soltanto il fatto di liberarsene rappresenta un cambiamento. Se poi il cambiamento della guardia sarà impersonato da Barak Obama ecco allora che l’incubo si potrebbe trasforma in un sogno (almeno speriamo).

Intanto è il segno che i tempi sono un po’ più inclini a non considerare le persone solo per il colore della pelle, per la razza, il genere, le abitudini sessuali o il credo cui affidano la propria anima. Sarebbe sbagliato porla come il riscatto di una razza, la nera, su un’altra, la bianca, come sarebbe sbagliato chiedere un voto per o contro una razza. Anche se è indubbio che per l’intera comunità, non solo quella americana ma globale, di pelle scura vedere un proprio “fratello” sedere al tavolo della stanza ovale rappresenta un vero e proprio sogno.

Sarebbe anche illusorio riporre nella vittoria di Obama il riscatto di tutta quella parte di persone, oltre ai neri, che hanno rappresentato la minoranza planetaria schiacciata o semplicemente dimenticata e relegata agli ultimi avanzi di bilancio nella politica americana ai tempi di Bush. Quei tempi non finiranno infatti domani e non smetteranno di esistere nella loro complessità soltanto per il fatto che Obama possa divenire per i prossimi anni il presidente degli Usa.

E’ però verosimile che i temi che riguardano almeno due miliardi di persone, di cui qualche milione sono americani, potrebbero avere altre risorse ed acquistare maggiore dignità qualora il prossimo presidente alla guida degli Stati Uniti fosse Barak Obama anziché John McCain. Vediamo come.

Obama ha promesso che avrà un’attenzione particolare alla soluzione delle distorsioni sociali ed economiche create dal modello economico attuale e ha dimostrato di avere un approccio verso i temi ambientali di un certo interesse. E se gli Usa cominceranno a essere più disponibili ad adottare politiche di tutela dell’ambiente, sarà allora meno erta la strada per avviare scelte globali a favore di una maggiore sostenibilità ambientale e sociale per il pianeta e per chi lo abita, ovunque lo abiti.

Obama ha dichiarato di voler liberare gli Usa dalla dipendenza del petrolio mediorientale entro pochi anni e di volerlo fare puntando decisamente ad un cambiamento dell’attuale style of life e sullo sviluppo di energie alternative. Ed ha messo sul piatto l’intenzione di stanziare ben 150 miliardi di dollari per sviluppare nell’arco di un decennio energie derivate dal sole, dal vento, dal mare. Poco spazio alle trivellazioni come quelle che vorrebbe fare in antartico Sara Palin, nessun entusiasmo sul nucleare, e quindi nessun nuovo investimento almeno sino a che non sarà risolto almeno il problema della sistemazione in sicurezza delle scorie.

Il candidato democratico dimostra poi di avere un diverso atteggiamento (e speriamo che lo mantenga...) rispetto a quello che è stato sino ad ora quello assunto dalla politica americana nei confronti del global warming: costretti a dover ammettere, dopo averlo negato per anni, il contributo antropico all’aumento delle emissioni di gas serra, la politica di Bush si è poi aperta, al più, ad un approccio indipendente al problema. «Questa è una delle più grandi sfide dei nostri tempi- ha risposto invece Obama ad una domanda in uno degli ultimi dibattiti tra i due candidati alla presidenza- Ed è assolutamente essenziale che noi comprendiamo che non è una sfida, è un’opportunità, perchè se creiamo una nuova economia energetica, possiamo creare 5 milioni di nuovi lavori, facilmente, qui negli Stati Uniti. Può essere un motore che ci guida verso il futuro, allo stesso modo in cui il computer è stato il motore della crescita economica negli ultimi due decenni».

Da qui a pensare che se Obama sarà alla guida degli Usa nei prossimi quattro o anche otto anni, avremo risolto la questione climatica sarebbe sciocco e poco credibile. Ma il mutato approccio dell’America, qualora vincesse Obama, potrà produrre senza dubbio un cambiamento di marcia nei prossimi negoziati internazionali per le politiche del post Kyoto e dare slancio a politiche energetiche non più dipendenti in maniera totale dal carbonio. Così come un governo Usa più incline a leggere il resto del pianeta non come territorio in cui esportare democrazia o su cui esercitare una egemionia economica (ormai decisamente in declino) potrebbe essere un buon viatico alla ricostruzione di una leadership di un mondo multipolare.

C’è poi la questione della redistribuzione fiscale e le politiche della scuola e della formazione che hanno anch’esse un segno diverso da quanto sin ad ora è stata fatto dal governo americano su questi temi, creando classi sempre più povere e sempre meno capaci di affrancarsi da schemi sociali imposti e che hanno, in parte, permesso a Bush di portare avanti le sue drammatiche scelte belliche.
Insomma tra poche ore gli americani sceglieranno se avere o no «un’economia che ricompensa il lavoro e crea nuovi posti di lavoro, alimentando il benessere dal basso verso l’alto».

Tra poche ore sceglieranno o no «d’ investire nell’assistenza sanitaria per le (loro) famiglie, nell’educazione per i (loro) figli e fonti di energia rinnovabile per il nostro futuro…» l’auspicio e la speranza è che questa scelta gli americani la facciano anche per il resto del pianeta e che (almeno domani) si possa provare a sognare che un mondo diverso è possibile. E cominciare da dopodomani a lavorare perché il sogno si avveri.

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