[05/11/2008] Comunicati

Obama: reset & change

ROMA. Le aspettative che il nuovo presidente degli Stati Uniti, Obama Barak Hussein suscita sono enormi, così come gli entusiasmi. Non andranno delusi. Come pensarlo dopo aver visto quel villaggio del Kenia aprirsi alla speranza di un futuro migliore? Lasciamo dunque che siano quelli abituati al trasformismo, a non avere principi e passioni, a sostenere nei noiosissimi dibattiti televisivi della notte magica, che non cambierà nulla. Lasciamo al loro cinismo la convinzione che ora i poteri forti lo metteranno in riga.

Cambiare si può. Si, anche noi ambientalisti possiamo esultare, perchè ora è possibile pensare che i cambiamenti climatici possano essere fermati. Non ci sarà nessun contrasto fra ciò che il nuovo presidente degli Stati Uniti ha detto e dice e ciò che concretamente fa e farà. Quel “change” che ha trascinato milioni di donne e uomini, soprattutto giovani, alla partecipazione e alla lotta politica e che ha portato Barak Obama alla presidenza degli Stati Uniti, ora si trasferirà dai comizi in atti di governo che cambieranno il modello energetico, produttivo e di consumo che alimenta la febbre del pianeta.

Quel “change” significa che finalmente il petrolio dell’Alaska rimarrà sottoterra, a disposizione delle future generazioni perché si preferirà disegnare di azzurro i tetti delle case degli americani per catturare la luce del sole e trasformala in elettricità o imbrigliare il vento, ma soprattutto quel “change” cancellerà in modo definitivo l’arrogante affermazione con cui gli Stati Uniti si sottrassero dalla lotta al cambio di clima: “il modo di vivere degli americani non è negoziabile”.

Perché tanto ottimismo? Perchè quel messaggio di cambiamento non è stato solo un’abile strategia comunicativa, ma al contrario ha alimentato passioni, è entrato nella testa di milioni di americane e americani. Una forza immensa a disposizione del cambiamento che ora non è possibile deludere e disarmare.

Che ridicola pagliacciata la corsa sul carro dei vincitori della presidente di Confindustria Marcegaglia o di Berlusconi, loro che hanno cavalcato la guerra in Irak per essere fra gli invitati alla spartizione del petrolio, loro che hanno prima coperto il disimpegno americano da Kyoto e poi cercato di impedire e affossare le scelte unilaterali sul clima dell’Europa, con le quali il vecchio continente ha cercato di ricostruire un impegno globale contro l’effetto serra.
Ora le loro ridicole richieste di sconti e deroghe non potranno più contare sulla compiacenza interessata degli Stati Uniti e a considerale irricevibili non ci saranno solo Sarkozy, la Merkel e Zapatero, ma anche Obama e la nuova America.

Manca un anno all’appuntamento decisivo di Copenaghen, dove si definiranno le strategie del post Kyoto, ma l’esito delle elezioni americane aumenta a dismisura le possibilità che nella città danese prenda finalmente corpo una strategia globale nella lotta al cambio di clima con la quale recuperare i ritardi accumulati per responsabilità di Bush e della vecchia america. Sapere che ci sono le condizioni per costruire un’azione comune fra Europa e Stati Uniti fa ben sperare che anche i paesi emergenti, come Cina India e Brasile, assumano a loro volta l’impegno a ridurre le emissioni climalteranti.

Non so quanto il nuovo presidente degli Usa potrà essere condizionato dai cosiddetti poteri forti, ciò che so è che se continuerà a fare politica e governerà coinvolgendo le persone in carne e ossa nella costruzione delle sue decisioni, facendoli sentire parte di un’impresa collettiva, quella di cambiare il mondo e di dargli un futuro sostenibile, quei poteri non potranno condizionare un bel nulla. E se ci deluderà? Qualche delusione ci sarà e noi ambientalisti più di altri forse ne patiremo, ma ridurle al minimo dipende da noi e dalla capacità che avremo di sfruttare l’enorme opportunità che il popolo americano ci consegna.

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