[05/11/2008] Consumo

Lezioni di economia (2)

Un esempio stilizzato
Si consideri una economia in cui vi siano 10 abitanti/lavoratori (ai fini della nostra analisi si può, per pura semplicità, ipotizzare che la popolazione attiva coincida con quella totale). L’economia fittizia che stiamo considerando è chiusa agli scambi con l’estero, ipotesi evidentemente non realistica il cui senso verrà integralmente chiarito successivamente.

Si producano due beni, il bene 1 e il bene 2, la cui specifica natura merceologica non ha per il momento alcuna importanza. Per ora è più agevole pensare che si tratti di beni di consumo. La domanda pro capite di bene 1 sia pari a 10 unità, la domanda pro capite di bene 2 sia pari a 5 unità. Ne segue che la domanda complessiva espressa dai 10 abitanti è pari a 100 unità di bene 1 e 50 unità di bene 2. Quanto lavoro occorre per produrre tali quantità e soddisfare così la domanda espressa dai consumatori? Naturalmente ciò dipende dalla tecnica produttiva in essere.

Immaginiamo, ancora una volta per pura semplicità, che si tratti di una tecnica assai semplice, che utilizza soltanto lavoro facendo a meno dei macchinari e di altre forme di capitale. Diciamo allora che in base alla tecnica in essere si devono utilizzare 0.05 lavoratori (ovvero un ventesimo del tempo di lavoro di una persona) per produrre una unità di bene 1 e 0.04 lavoratori per produrre una unità di bene 2. Fatti i conti, servono 0.05x100+0.04x50=7 lavoratori per soddisfare integralmente le domande dei consumatori.

Dato che l’offerta complessiva di lavoro è pari 10, il tasso di disoccupazione di questa economia fittizia è pari al 30%. Che dire dei prezzi? Per stabilirne il livello occorre necessariamente fissare il salario: supponiamo che a ciascun lavoratore si riconosca un salario pari a 2. Bene, dal momento che in questa economia fittizia il prezzo di vendita di ciascuna merce deve servire alla remunerazione del solo fattore lavoro, possiamo affermare che il prezzo di una data merce sarà pari al salario moltiplicato per la quantità di lavoro necessaria a produrne una unità. Nel caso della merce 1, il prezzo sarà pari a 2x0.05=0.1; il prezzo della merce 2 sarà invece pari a 2X0.04=0.08. La spesa pro capite in questa economia sarà perciò pari a 0.1X10+0.08X5=1.4. La spesa complessiva sarà pari alla spesa pro capite moltiplicata per il numero di abitanti/consumatori, 1.4X10=14.

Vale la pena di notare che anche il PIL (il valore della produzione realizzata) è pari a 14 (0.1X100+0.08X50). Non solo, anche i redditi (in questo caso esclusivamente salari) distribuiti sono pari a 14 (un salario pari a 2 per ciascuno dei 7 lavoratori). Spesa complessiva (meglio: keynesianamente, dovremmo dire domanda effettiva), valore della produzione e redditi distribuiti coincidono, sono tutti pari a 14 nel nostro esempio. La spesa complessiva può raggiungere il suo valore in infiniti possibili modi: a scopi puramente illustrativi supporremo che ciascuno dei 7 occupati, pur ricevendo un salario pari a 2, spenda soltanto 1.4 e depositi il proprio risparmio (0.6) in qualche banca. Il risparmio complessivo (0.6X7=4.2) viene poi prestato ai 3 disoccupati (credito al consumo), i quali perciò sono in grado di spendere, pure loro, 1.4 (ovvero 4.2/3).

Ora, è chiaro che in questa economia c’è un potenziale produttivo inespresso, una capacità produttiva inutilizzata. Infatti, se anche i 3 disoccupati potessero lavorare e ricevessero il salario corrente pari a 2, il reddito complessivo dell’economia sarebbe pari a 20. Diremo che 20 è il reddito potenziale (o di piena occupazione) dell’economia, mentre 14 rappresenta il reddito effettivo. Il problema di politica economica è immediato: come si può riportare il reddito effettivo al livello di quello potenziale, o comunque ridurre la distanza fra i due?

(continua - 2)

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