[06/11/2008] Energia

In arrivo tempi bui per petrolieri e carbonai (non solo negli Usa)

LIVORNO. Qualcuno è rimasto sorpreso dalla depressione che ha colpito le borse mentre l´America e il mondo esultano per la vittoria di Obama e la fine del "capitalismo compassionevole" di Bush che si è rivelato una vera e propria macelleria sociale. Forse farebbero bene a leggere quanto scrive il giornale economico "Down Jones": «Sotto il presidente eletto senatore Barack Obama, l´industria dei combustibili fossili può trovarsi di fronte a "dark days ahead" (traducibile con tempi bui o giorni bui a venire), mentre i settori delle energie alternative potrebbero prosperare. Anche se ci vorranno anni per progettarla ed implementarla, l´amministrazione della politica energetica ed ambientale di Obama può rappresentare uno sconvolgimento tettonico per la nazione. Egli vorrebbe spostare gli Usa dal petrolio come fonte di energia primaria verso le energie rinnovabili, i biocarburanti avanzati, l´efficienza e le tecnologie a basse emissioni di gas serra».

Per la stampa Usa l´asse portante della politica ambientale di Obama sarebbe un disegno di legge sul climate change che metterà un limite alle emissioni di gas serra e favorirà, con incentivi e tassazioni, la transizione delle industrie americane verso low-carbon alternatives. E Obama ha detto in campagna elettorale che la sua politica in materia sarà molto più aggressiva di ogni "cap-and-trade system" fino ad ora proposto. Il nuovo presidente afro-americano, se manterrà le promesse, punterà decisamente alle energie rinnovabili ed al gas naturale, alle auto ibride e all´efficienza ed al risparmio di elettricità. Per questo prevede di spendere 150 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni.

Una cura da cavallo che terrorizza i petrolieri amici e colleghi di Bush. Multinazionali come ExxonMobil, ConocoPhillips e Chevron accusano Obama di voler tornare alle politiche della crisi petrolifera degli anni ´70 e temono come la peste che Obama tassi i loro profitti e metta le mani sulla Strategic petroleum reserve.

Il presidente dell´American petroleum institute, Red Cavaney dice preoccupato: «E´ piuttosto chiaro che si ripeteranno ancora una volta quegli errori, in futuro dovremo assistere a giorni bui. Il piano di Obama impone un imposta-mannaia sui profitti delle compagnie petrolifere,che sono tra le poche industrie fiorenti. Speriamo che i funzionari pubblici non gli diano retta. Certo, vediamo quanto danno possa si possa fare con uno spot abbagliante».

La paura non è calata nemmeno quando Obama ha cambiato la sua posizione negativa sulle trivellazioni per gas e petrolio offshore sulla piattaforma continentale, quando il petrolio raggiunse i 145 dollari al barile e la benzina i 4 dollari al gallone. Il timore (per i petrolieri) e la speranza (per tutti gli altri) è che passata l´emergenza riveda quell´impegno, visto che la moratoria scaduta a settembre era ben vista da gran parte dei parlamentari democratici e che il calo del prezzo del petrolio non rende così urgenti nuove trivellazioni in aree spesso molto delicate dal punto di vista ambientale.

Ma l´industria petrolifera dice che ormai il picco della produzione interna è stato raggiunto e bisogna esplorare altri giacimenti in mare e sfruttare quelli inaccessibili a causa di vincoli ambientali.

Le multinazionali del petrolio sanno che sarà dura: Obama è convinto delle cause antropiche del cambiamento climatico e vuole ridurre entro il 2025 del 25% le emissioni Usa di gas serra, con il 10% da raggingere entro i primi mesi del 2010. Una tabella di marcia simile a quella approvata (anche se più restrittiva) dal Senato Usa.

Esulta la lobby delle rinnovabili che ora ha nelle maggioranze schiaccianti dei democratici alla Camera ed al Senato interlocutori più attenti, a cominciare dal capo dei senatori democratici Harry Reid e dalla portavoce della Camera Nancy Pelosi che sono fermamente convinti che puntare sulle rinnovabili aiuterà il Paese a risollevarsi dall´attuale crisi economica.

A fare le spese della nuova green policy saranno probabilmente anche le inquinanti centrali a carbone alle quali si applicheranno norme ambientali più severe, nonostante Obama punti molto sul finanziamento della carbon capture and sequestration (Ccs) che in realtà non piace affatto a Greenpeace e ad altre associazioni ambientaliste. L´industria del carbone è preoccupata perché se Obama approvasse davvero leggi vincolanti sule emissioni di gas serra «potrebbe strangolare l´industria». A far paura sono i costi delle tecnologie Ccs, senza le quali Obama non sembra intenzionato a dare il via a nuove centrali elettriche a carbone. Tra i preoccupati non poteva mancare la National mining association che comprende giganti minerari come Peabody Energy e Consol Energy Energia che hanno detto che «La temuta politica sul climate change di Obama potrebbe distruggere l´industria del carbone, spezzando la spina dorsale energetica dell´America». Obama ribatte che la transizione dal carbone e dal petrolio verso la lower carbon economy può creare 5 milioni di nuovi posti di lavoro.

Gli industriali americani utilizzano contro Obama gli stessi argomenti che il ministro dell´ambiente Stefania Presigiacomo e la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia usano contro l´Unione europea e il suo pacchetto clima-energia. Scrive Dow Jones: «Aumenteranno anche i costi di manifattura, trasporto e dei materiali a causa dell´aumento dei costi dell´energia e gli Usa avranno uno svantaggio competitivo rispetto ad economie prive di norme sulle emissioni similari, come ad esempio Cina Cina, India, Russia o i Paesi del Sudamerica e del Medio Oriente. E´ anche lecito chiedersi se il presidente eletto debba concentrare la sua politica sul cambiamento climatico nei primi mesi del suo incarico invece di concentrarsi sul salvataggio dell´economia Usa da una profonda recessione».

I Democratici ribattono che gli Usa hanno hanno enormi riserve energetiche interne che non richiedono un cambiamento importante nel settore delle infrastrutture di trasporto, ad iniziare dal poco sfruttato gas naturale.

L´ultima spina, e forse la più venefica, sono le scorie nucleari. Anche per queste Obama ha annunciato che cambierà l´attuale politica di stoccaggio dei rifiuti a lungo (o meglio eterno, visto che le radiazioni permangono per alcune centinaia di migliaia di anni) termine, anche se non intende rinunciare del tutto al nucleare, o almeno alle cnetrali esistenti.

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