[03/05/2006] Acqua

Per il bacino del Mediterraneo il futuro è la grande sete

FIRENZE. Il bacino del Mediterraneo, 22 Paesi che rappresentano il 7% della popolazione mondiale, il 13% del Pil, un’area che attira il 33% dei turisti a scala mondiale. Ma nel 2025 molti Paesi del Mediterraneo avranno sete. Se verrà mantenuta l’attuale tendenza, per oltre 63 milioni di persone le risorse d´acqua scenderanno sotto un livello accettabile con conseguenze sulla qualità della vita, impatto sull´economia, sulla società e sulla stabilità dell’intera regione. Lo ha affermato a Ginevra Guillaume Benoit, co-autore del rapporto «Mediterraneo: le prospettive del Piano Blu sull’ambiente e lo sviluppo». Lo studio fa parte del programma dell’Onu per l’ambiente (Unep), un quadro intergovernativo creato alla fine degli anni ‘70 per riflettere a livello regionale sulle problematiche ambientali e di sviluppo.

I dati principali riportati nel rapporto non lasciano speranze se non vi sarà una netta inversione di rotta: nel 2025 la popolazione dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo passerà dai 427 milioni del 2000 a 524 milioni; il numero di turisti nelle zone costiere passerà dai 175 ai 312 milioni; altri 4mila chilometri di litorale potrebbero essere invasi dal cemento portando al 50% la parte costruita sui 46 mila chilometri di coste. Aumenterà la quantità di rifiuti, fino a una tonnellata per ogni abitante per i Paesi del Nord del Mediterraneo. Non siamo in balia di dati forniti da Cassandre, dato che le previsioni più pessimistiche del primo rapporto del Piano blu (1989) sono oggi divenute realtà. Eppure, e il Rapporto le indica, basterebbero «semplici» attenzioni o crescite culturali che modificano i comportamenti per far invertire o almeno rallentare la tendenza.

Ma l’acqua manca davvero o la carenza è dovuta a “cattiva” gestione? Prendiamo la Sicilia, regione al centro del Mediterraneo. In media ogni anno piovono sull’isola 7 miliardi di metri cubi d´acqua, quasi il triplo del fabbisogno, calcolato in 2 miliardi e 482 milioni di metri cubi. Eppure è sempre «emergenza idrica». In Sicilia per l’acqua si muore, ma non di sete, come è successo ad Agostino D’Alessandro, sindacalista ucciso dalla mafia per aver organizzato le lotte contadine contro il monopolio mafioso dell’acqua nel lontano 1945. Gli enti pubblici comprano l’acqua dai pozzi di privati (spesso gestiti dalla mafia), denuncia il sociologo antimafia Umberto Santino, compagno di Peppino Impastato ai tempi di RadioAut, mentre la frammentazione degli enti che si occupano di risorsa idrica è più accentuata che da altre parti. In Sicilia in base alla «legge Galli», gli Ato (Ambiti territoriali ottimali) sono stati disegnati su scala provinciale senza considerare le caratteristiche idrogeologiche dei corsi d’acqua. Così succede che il fiume Alcantara, che segna il confine delle province di Catania e Messina, dovrebbe essere gestito dall’Ato catanese in riva destra e da quello messinese in riva sinistra. Il sistema idrico è interprovinciale: le tubazioni vanno da una provincia all’altra, per questo è stato creato anche un «super-Ato» che dovrebbe gestire i punti di contatto tra i nove ambiti delle province della Sicilia.

La Sicilia ancora oggi si trova al centro di battaglie sociali per il diritto all´acqua. Le gare previste dalla Galli per la gestione della risorsa idrica vanno deserte. L’unica gara aperta è a Palermo dove è in campo una sola offerta. Un’altra proposta, simbolica, è arrivata dal comitato «Acqua in comune» che si rivolge ai sindaci dell’Ato per bloccare le procedure di affidamento del servizio e per richiedere la costituzione di una società pubblica di gestione che sia anche partecipata attraverso il coinvolgimento degli utenti nel processo decisionale. Tra poco arriverà l’estate e sarà ancora emergenza.

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