[21/11/2008] Comunicati

I tempi di Obama e i trabocchetti verso Copenaghen

LIVORNO. «Il fatto che il presidente eletto degli Stati Uniti, l´unica nazione industrializzata a non aver ratificato il Protocollo di Kyoto, si impegni ad agire fermamente in materia di cambiamento climatico, è un segnale positivo per i negoziati internazionali sulla questione – ha detto Yvo de Boer direttore dell´ United Nations Framework convention on climate change (Unfccc, a margine dell´incontro dei ministri dell´ambiente africani ad Algeri - La promessa fatta da Barack Obama di lavorare per ridurre le emissioni degli Stati Uniti entro il 2020 é un "segnale forte di incoraggiamento per I Paesi che attualmente negoziano un nuovo trattato per la lotta contro il cambiamento climatico. Penso che questo avrà una influenza molto positive sui negoziati. Ha indicato di avere l´intenzione di dar prova di una leadership nazionale ed internazionale. Penso che questa dichiarazione sarà percepita come un segnale forte di incoraggiamento dalla comunità internazionale».

La speranza suscitata da Obama per quel che ha detto al summit sull´ambiente dei governatori Usa riuniti in California da Arnold Schwarzeneger è grande, ma lo stesso Yvo De Boer ricorda che «le emissioni di gas serra degli Stati Uniti sono state superiori del 14% al loro tasso del 1990 ma che è possibile ridurre questa proporzione e raggiungere l´obiettivo fissato da Barack Obama. Penso che sia fattibile. E´ una sfida ma è realizzabile».

Non tutti sono però così fiduciosi e, soprattutto in America si cominciano a fare i conti ed a misurare il tempo al nuovo presidente ed alcune organizzazioni ambientaliste temono addirittura che gli Usa non ratificheranno il Protocollo di Kyoto entro i prossimi anni e comunque no assumeranno vincoli precisi alla Conferenza Onu sul clima di Copenaghen del 2009. .

«Tuttavia, tale ottimismo potrebbe essere irrealistico – scrive Ben Block sul sito del Worldwatch institute – La crisi finanziaria in corso, il potenziale ritiro delle truppe americane dall´Iraq e un incremento dell´insostenibile guerra in è probabile che dominino l´agenda politica della Casa Bianca nel 2009».
E se gli Usa non si sentiranno comunque vincolati a Copenaghen ad accettare obiettivi ed obblighi internazionali, l´accordo sul post-Kyoto sarà molto meno significativo.

«Dubito che la legislazione Usa sia pronta per Copenhagen – spiega Elliot Diringer, vice-presidente per le strategie internazionali del Pew center on global climate change e già consulente di Bill Clinton - Le probabilità di realizzare negoziati globali a Copenaghen non sono molto elevate. In realtà sono molto basse».

L´azione di Obama sarà quindi condizionata dai rifiuti precedenti di Bush e il risultato di Copenaghen dipenderà in gran parte dalla velocità con la quale il Congresso Usa approverà una legge sul cap-and-trade, e se deciderà che gli Usa debbano approvare prima una legge interna sulle emissioni prima di aderire ad un trattato internazionale. I precedenti non sono esaltanti: nel 1997 il Senato americano respinse con 95 voti a zero il Protocollo di Kyoto.

Un´approvazione rapida di un accordo internazionale è un impeto politico notevole: il regolamento del Senato Usa richiede i due terzi dei voti per la ratifica, quindi 67, oppure che entrambe le camere votino un disegno di legge con una maggioranza di 60 voti per evitare il "filibuster" uno strumento legislativo ostruzionistico che permetterebbe ai repubblicani anti-kyoto di - ritardare in definitivamente i tempi del dibattito e quindi il voto.

Il voto del 4 novembre ha portato una maggioranza democratica nei due rami del parlamento Usa che potrebbe rintuzzare l´opposizione repubblicana nei prossimi due anni e portare avanti le promesse del partito democratico di occuparsi dei cambiamenti climatici. LO stesso voto sulle misure contro la crisi economica volute da Bush, dimostra che se si vuole si possono approvare in una sola notte leggi controverse ma che riguardano emergenze reali e priorità ineludibili.

Ma i frenatori non mancano: la settimana scorsa Jeff Bingaman, presidente della commissione energia del
Senato, ha proposto che la legge sul cap-and-trade non venga approvata prima del 2010. «La realtà è che non tutto può essere fatto ed ottenuto nel primo anno», ha detto all´Associated press. I trabocchetti procedurali che verranno seminati per rallentare il cammino di Obama non riguardano solo le emissioni, ma anche altre importanti questioni ambientali.

Obama vorrebbe concedere alla California il permesso negato da Bush di regolamentare le emissioni delle auto, ai sensi del Clean Air Act e che permetterebbe di ridurre del 30% le emissioni dei veicoli in 17 Stati Usa tra il 2009 ed il 2016. La prossima amministrazione democratica dovrà anche decidere i controlli da fare sulle emissioni delle centrali a carbone, che devono avere un permesso federale ad operare Environmental protection agency (Epa) e dovrà tener conto delle richieste di alcuni Stati che considerano quelle vecchie inquinanti e quelle nuove proposte insostenibili.

Quello che è evidente è che Obama vuole prendere in mano una leadership delle politiche ambientali partendo dalla realtà statunitense e che per ora non raccoglie gli inviti come quello del viceministro polacco all´ambiente, Jauns Zaleski che ha detto: «Ci auguriamo che l´amministrazione del presidente Obama venga a Poznan. Questo invierebbe al mondo il messaggio che gli Usa sono pronti a partecipare sul palcoscenico internazionale».

Obama in Polonia non andrà, e l´impressione è che per molto tempo sarà impegnatissimo a ripulire il teatrino politico casalingo dagli ingombri lasciati dalla disastrosa amministrazione Bush.

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