[26/11/2008] Comunicati

Che fine ha fatto la pianificazione?

PISA. Di primo acchito la domanda può sembrare del tutto provocatoria e polemica visto il gran parlare e non solo in Toscana di tutela e piani paesaggistici, di Pit e altro. Mettiamola allora così; da mesi ormai si parla di Federalismo, di non so quanti nuovi codici delle autonomie, di titolo V; su questo sfondo sempre più dominato dagli effetti perversi dei tagli finanziari si può cogliere, è emerso con qualche visibilità il tema della pianificazione in rapporto ad un governo del territorio oggi molto più di ieri chiamato a rispondere unitamente alla crisi economico-sociale e ambientale?

Quando con la legge delega per il nuovo codice ambientale si è manomessa la legge 183, quella dei bacini idrografici che per noi toscani significa innanzitutto Arno ( che non solo un fatto di soldi) ci sono state reazioni e risposte adeguate? Eppure è stata una delle leggi più importanti degli ultimi anni per la gestione dell’ambiente nel nostro paese. E dopo il tentativo fortunatamente fallito per lo scioglimento delle camere della legge Lupi di riproporre l’urbanistica contrattata è accaduto qualcosa di significativo per rivedere la normativa urbanistica in senso innovativo? E quando –più recentemente- con il nuovo codice dei beni culturali i piani dei parchi -che specialmente in toscana hanno funzionato- sono stato depredati del paesaggio tornato a viaggiare su binari suoi, qualcuno se n’è preoccupato?

No, non è accaduto nulla se non la brillante idea di affidare anche il nulla osta ai comuni togliendolo dopo decenni ai parchi. Ha scritto recentemente Pier Luigi Cervellati -che in Toscana molti anni ha avviato tra i primi in Italia un nuovo tipo di pianificazione ( Parco di San Rossore, Migliarino, Massaciuccoli) che raccordava ambiente, paesaggio attività antropiche- ‘le leggi regionali in materia tendono quasi tutte a far coincidere la tutela con il vincolo, e pianificare il vincolo lascia il tempo che trova’.

Eppure già anni fa Galasso aveva affidato alle regioni i piani paesistici; le sopraintendenze avrebbero dovuto surrogare in caso di inadempienza. E la ragione era semplice; la tutela non può essere separata dal pianificare altrimenti è solo vincolo. I due momenti più significativi di questa nuova impostazione che non si affida puramente e semplicemente al vincolo sono stati proprio la pianificazione dei bacini e dei parchi. I dati al riguardo parlano chiaro anche se molti li ignorano e fanno finta di non conoscerli. E tra gli aspetti più nuovi di questo tipo di pianificazione, che a differenza di quella urbanistica non si esaurisce nel dove e quanto si costruisce, vi è stato l’inclusione –diciamo così- della agricoltura, del territorio rurale come poi avrebbe riconosciuto la Convenzione europea del paesaggio e il secondo pilastro della PAC sulla ruralità, ma non il nuovo codice che il paesaggio agricolo lo ignora.

E’ questo un aspetto molto importante sul quale conviene soffermarsi un momento. L’agricoltura infatti, per lungo, troppo tempo è stata considerata incompatibile con l’ambiente specie se pregiato e protetto come nei parchi. Oggi al contrario essa gioca un ruolo chiave nella tutela delle risorse naturali, della biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio agrario e forestale tanto che le istituzioni dai comuni, alle comunità montane e altre possono concordare contratti di promozione con erogazione di fondi. Tanto che la PAC oggi riconsegna ai paesi membri poteri di governo delle rispettive economie agricole ben maggiori di prima; si attenua insomma il centralismo comunitario per consentire alle realtà nazionali-ma anche regionali e locali- di fare al meglio la loro parte.

Il che è coerente con la Convenzione europea del paesaggio la quale riconosce che senza un diretto e attivo rapporto delle popolazioni, il paesaggio non può venire a esistenza e beneficiare così di una adeguata cura sul piano materiale. E’ insomma il riconoscimento e l’affermazione di quel principio di sussidiarietà e della autonomia locale inviso a tanti esponenti di quei comitati –e non solo- che rivendicano il massimo centralismo ma poi –vedi le recenti dichiarazioni di Asor Rosa- ritengono di doversi meglio insediare nella dimensione locale addirittura non escludendo alcuni proprie liste elettorali. Curiosa e palese contraddizione perché riconosce un ruolo locale nel momento stesso che lo nega nell’assetto istituzionale complessivo.

Da queste considerazioni piuttosto sommarie ci sembra emergano due aspetti attuali e importanti. Il primo è che il governo del territorio deve riuscire a stabilire una integrazione tra ambienti, settori, discipline che sappiano adeguatamente tener conto di quella trasversalità tante volte richiamata dalla Corte e che va al di là della stessa ripartizione delle competenze e materie –quando lo sono- perché l’ambiente non lo è. Sul piano internazionale si è parlato del signore e della signora ‘Intreccio’ proprio a sottolineare questa esigenza di integrazione. E come abbiamo visto, invece, a partire proprio dal paesaggio così chiaccherato in ordine all’eccessivo consumo di territorio questo ‘intreccio’ è venuto meno in punti delicati della nuova normativa ma anche di decisioni regionali. Senza considerare che il sempre maggior ricorso alle varianti indebolisce ulteriormente questa esigenza di unitarietà anche nelle realtà dove si è fatto un piano.

Il secondo aspetto riguarda la rete o filiera istituzionale che in tanti provvedimenti in cantiere –di cui per la verità non si sa granchè- dovrà comunque essere ricalibrata e messa a punto specie dopo i guasti provocati dalle leggi delega o –e non di meno- dalle inadempienze ad esempio del decreti riguardante le cosiddette riforme Bassanini, rimasto per molti versi lettera morta specie per quanto attiene all’ambiente di cui anche il Parlamento sembra essersi totalmente dimenticato.

Sul Pit toscano abbiamo avuto modo di pronunciarci più volte sia in ordine alle cosiddette schede sul paesaggio che rispondono assai poco a quei connotati richiamati, sia in ordine alle stazioni di posta che prevedono solo le tre classiche fermate; regione, provincia e comune. Bacini e parchi non coincidendo con questi livelli e pur essendo dotati di strumenti di pianificazione ‘sovraordinata’ non hanno trovato finora il posto che non solo gli compete ma che risulta cruciale anche per l’intero sistema istituzionale. L’ottobre scorso la regione Campania ha approvato il Piano territoriale regionale che richiama leggi precedenti in cui il ruolo dei parchi è ben delineato in base anche alla cosiddetta Carta di Padula del novembre 2005 sottoscritta, infatti, anche dai parchi nazionali e regionali campani.

A differenza di quanto detto a proposito delle schede toscane qui la regione mette bene in chiaro con il ministero dei beni culturali che il paesaggio va inteso in quella ampia accezione idonea a stabilire quell’intreccio di cui abbiamo parlato e che attiene anche a quell’ uso multiplo dei parchi e delle aree protette significativamente richiamato nella relazione alla nuova legge campana.

E perché sia ben chiaro quel che intendo dire vorrei richiamare l’esperienza degli anni settanta quando con l’arrivo delle regioni si mise mano alle politiche di programmazione e pianificazione con un impegno che coinvolse direttamente gli enti locali i quali proprio allora e per la prima volta furono chiamati ad impegni non più frammentati e di settore. Fu quella la stagione che tra non poche difficoltà ed anche crisi apri la strada ad una redistribuzione di nuovi compiti che avrebbero successivamente trovato nelle leggi richiamate; la 183 e la 394 una sanzione importantissima perché riguardante quelle che sarebbero state definite ‘invarianti ambientali’, ossia punti di riferimento ai quali tutti –vecchi e nuovo soggetti- si sarebbero dovuti attenere nella loro attività di programmazione.

Anche il dibattito sui ‘ruoli’ dei vari livelli istituzionali dall’abrogazione delle province alla istituzione dei Comprensori prese le mosse da lì. Oggi si è tornati a discutere più o meno delle stesse cose ma partendo non dai ruoli ma dai tagli finanziari; vedi la vicenda delle Comunità montane e non solo.
Quanto allora ci si interrogava su quale sarebbe potuto e dovuto essere l’assetto più adeguato per programmare e pianificare il governo del territorio oggi si assiste essenzialmente ad una vero e proprio smantellamento delle politiche di programmazione e pianificazione. I cui effetti –ecco un aspetto rimasto finora troppo in ombra- non si ripercuotono negativamente soltanto sulla ripartizione dei compiuti tra centro e periferia con un marcato recupero centralistico tanto più paradossale nel momento in cui si parla tanto di federalismo, ma anche in un ritorno a concezioni di ‘settore’ come è accaduto con il paesaggio che torna a perdere quei connotati culturali faticosamente acquisiti specialmente con la pianificazione dei parchi e dei bacini . Il che rende ancor più incomprensibili e inspiegabili quelle recenti decisioni anche della regione Toscana sul nulla osta presa ignorando peraltro il dibattito in corso sulla nuova legge regionale sui parchi e le aree protette.
Ecco perché l’interrogativo da cui abbiamo preso le mosse non ha nulla di provocatorio ma coglie purtroppo un dato allarmante della situazione generale che non risparmia neppure le realtà più affidabili. E prima se ne prenderà atto meglio sarà per tutti.

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