[27/11/2008] Consumo

Una tassa per chi preleva materie prime dalla natura

LIVORNO. Il riscaldamento climatico è ormai un dato di fatto: anche se negli ultimi dieci anni la crescita è stata meno marcata, dagli anni ’70 ad oggi le temperature sono cresciute di 0,15 gradi ogni decennio, e per il secolo in corso le proiezioni prevedono un riscaldamento globale che andrà dai 2 ai 4 gradi.
I dato, ormai noti e conosciuti, li ha ricordati ieri Sergio Castellari dell’Ipcc, alla seconda giornata del VI forum internazionale dell’informazione per la salvaguardia della natura organizzato da di Greenaccord.

«Dal 1970 ad oggi - ha spiegato Castellari - le emissioni di gas serra sono aumentate del 70% e la responsabilità è stata in gran parte dei paesi sviluppati. Nei prossimi anni invece si prevede che il 60% di questo incremento sarà da attribuire ai paesi in via di sviluppo» e sarà però proprio in questi paesi che gli effetti negativi si evidenzieranno in maniera più acuta, anche perché in quei paesi esiste una minore capacità, soprattutto, finanziaria, di far fronte all’adattamento.

Sempre nei paesi in via di sviluppo si scopre che è elevato il consumo di suolo, di materie prime ed energia perché i governi di quei paesi hanno sposato appieno il modello consumistico dei paesi occidentali ed hanno minore accesso alle tecnologie più efficienti.
A dirlo Federico Butera, che intervenuto al forum di Grenaccord ha illustrato qual è il modello che stiamo esportando nei paesi in via di sviluppo, soffermandosi in particolare sulla costruzione di nuovi edifici. «Ogni settimana è come se si costruisse l’equivalente di una città di un milione di abitanti» ha sottolineato il professore del politecnico di Milano.

Un approccio che, ha continuato Butera «occorre abbandonare urgentemente a favore di un approccio ecosostenibile con abitazioni e città che permettano di ottimizzare la richiesta e il consumo di energia». Per garantire uno sviluppo sostenibile delle città future occorre, secondo Butera, seguire quattro punti fondamentali: minimizzare la domanda di energia riprogettando le aree urbane; ridurre le dispersioni energetiche utilizzando tecnologie con resa elevata e a basse emissioni; riciclare energia e materiali per creare dei sistemi quasi completamente autosufficienti da un punto di vista energetico e sostituire l’energia fossile con quella rinnovabile.

Insomma una rivoluzione culturale, necessaria anche per Wolfgang Sachs, direttore del progetto “Globalization and sustainability” e ricercatore al Wuppertal Institut, per avviare una trasformazione dell’economia in chiave ecologica, incentrata sul concetto di ecoefficienza.
Ovvero la capacità di creare valore utilizzando un input di materie prime ed energia sempre minore.
Per far questo, secondo Sachs «occorre in primo luogo sviluppare il concetto di de-materializzazione, cioè fare le cose in modo più intelligente, imparare a utilizzare meno materiale per la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture, così come in passato abbiamo imparato a utilizzare meno mano d’opera. In secondo luogo è necessario imparare a sfruttare al meglio i flussi naturali, captando le risorse disponibili senza distruggerle».
Ciò implica uno spostamento dall’utilizzo delle risorse fossili all’utilizzo di risorse rinnovabili.

Infine, secondo Sachs, è necessario che tutti i Paesi rispettino un principio di autolimitazione, cioè si pongano dei limiti sia sulle emissioni nocive, sia sulle materie che possono essere prelevate dalla natura. «La concezione di sviluppo così come è concepito ora – ha spiegato Sachs - non sarà più sostenibile per molto tempo a causa dei limiti fisici della biosfera. Stiamo andando incontro ad una crisi delle risorse fossili, che si avvicinano inesorabilmente all’esaurimento, ma anche ad una crisi delle risorse “viventi”, come le foreste, il suolo, l’acqua». Per questo si dovrebbe pensare all’istituzione di una tassa per chi preleva materie prime dalla natura, una sorta di “diritto d’uso della natura” e a gestire le entrate derivanti dal pagamento di tali diritti e a redistribuirli in modo equo tra tutti i Paesi del mondo, dovrebbe essere un «trust ecologico mondiale».

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