[01/12/2008] Monitor di Enrico Falqui

Vertigini, Turbamenti e Baruffe

FIRENZE. Circa trent’anni anni fa, una psico-analista fiorentina, Graziella Magherini, descrisse per la prima volta, in un bel libro della casa editrice fiorentina “Ponte alle Grazie”(1979), la sofferenza mentale che coglie alcuni viaggiatori in particolari luoghi d’arte.
Come è noto, il primo viaggiatore ad averne parlato era stato lo scrittore francese Henry-Marie Beyle, divenuto famoso con lo pseudonimo di “Stendhal”, in occasione di uno dei suoi viaggi a Firenze, nel 1817.
Stendhal dette una prima descrizione della sindrome, che da lui avrebbe successivamente preso nome, nel libro “Napoli e Firenze:un viaggio da Milano a Reggio”:
“…ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti e dai sentimenti appassionati. Uscendo da S.Croce, ebbi un battito al cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere…”.

Dovevano passare più di centocinquant’anni prima che la sindrome fosse diagnosticata scientificamente (1982) in un congresso ufficiale di psichiatria, nonostante che fossero stati riscontrati numerosi casi analoghi tra turisti e viaggiatori in visita a Firenze, dall’inizio del XIX secolo. Quali erano i fattori scatenanti di tale sindrome? Quali erano i sintomi e, soprattutto, quella sindrome colpiva tutti oppure solo chi era predisposto a tali condizioni patologiche?
Alcune risposte a tali quesiti, vennero dalle ricerche condotte per circa dieci anni dalla psichiatra Magherini, presso il Centro per la salute mentale dell’Arcispedale di S.Maria Nuova di Firenze.

Diceva la Magherini a proposito di questi casi, valutati dall’équipe da lei diretta : “Lo studio di questi casi ci portò ad osservare che vi erano alcuni elementi ricorrenti: erano tutte persone in viaggio, tutte straniere e tutte partite da casa in uno stato di completo benessere; l’altro dato significativo era rappresentato dal fatto che nell’87% dei casi si trattava di persone che viaggiavano da sole.”
Dunque, la sindrome di Stendhal possedeva un prevalente soggetto “incubativo”: il viaggiatore solitario, con le sue individuali motivazioni ed emozioni.

Un grande viaggiatore, Bruce Chatwin, ci ha trasmesso dai suoi appassionanti romanzi il senso del “viaggio dell’eroe”, cioè di colui che si mette in viaggio per scoprire geografie interiori, spesso stimolate da quelle esterne, più che per conoscere nuovi luoghi o città.
Gli “eroi”, dice Chatwin, “detestano il turismo pantofolaio del mondo moderno al quale preferiscono la migrazione dell’anima, il nomadismo inquieto di chi è consapevole che il suo vagare durerà quanto la sua esistenza”.

Il turbamento provato da Stendhal, all’uscita dalla Basilica di S.Croce assomigliava alquanto allo stato d’animo dell’eroe viaggiatore, descritto da Chatwin, che acquisisce “nel viaggio” una nuova consistenza dell’essere ed anche una straordinaria creatività nell’osservare tutto ciò che lo circonda.
Nel libro che descrive il suo viaggio in Italia (Rome, Naples, Florence, 1817), Stendhal osservava, nel corso delle sue giornate fiorentine:
“:..vedo l’architettura come l’unione del bello con l’utile, dando a questa parola un significato assai vasto, atto a comprendere i bisogni, i gusti, il modo di vivere del nostro tempo. …Il richiamo alla bellezza è valido solo come riferimento ad una forma che altamente espresse la libertà dell’uomo, e valido a patto che sia libero richiamo e nel frattempo aderenza alla situazione presente”.

Stendhal, anch’esso viaggiatore “eroico”, ma con diverse ispirazioni e motivazioni, dimostra così di aver capito il “segreto” del suo turbamento, provato all’uscita della Chiesa di S. Croce. Egli avverte pienamente la consapevolezza di aver acquisito una creatività più elevata che lo avvicina alla percezione del “ segreto” di Firenze, che risiede proprio nella libertà dell’artista e dell’architetto di coniugare la bellezza con l’utile, il passato con il futuro, l’estetica medioevale con quella rinascimentale.

John Ruskin, storico dell’arte inglese,invece, rovescia radicalmente la tesi di Stendhal che corrisponde, nell’epoca in cui egli vive, alla prospettiva dominante. Ruskin vede nel Rinascimento la fine dell’età dell’Oro, la riduzione della società da organismo vivente e solidale a macchina efficiente ma inanimata, il prevalere del valore di scambio sul valore d’uso.
Nel 1845, Ruskin, dopo numerosi viaggi in Italia, arrivò a Firenze e immediatamente si concentrò nell’osservazione rigorosa e creativa dei capolavori fiorentini di Cimabue e di Giotto.

Ruskin dichiara anche lui di essere sedotto da sensazioni emotive assai forti, osservando il sorgere dell’alba in Piazza Duomo : “..qui, ai piedi del campanile di Giotto, penso che le tradizioni della fede e della speranza, sia delle razze cristiane che di quelle ebraiche, si sono incontrate per proseguire la loro magnifica opera. Il Battistero di Firenze è l’ultimo edificio eretto sulla Terra dai discendenti degli artefici di cui Dedalo fu maestro. Delle opere greche esistenti oggi, esiste solo il Battistero di Firenze, mentre tra le opere cristiane superstiti nessuna è perfetta come il campanile di Giotto.”

Ruskin descrive, nel suo resoconto del viaggio e del soggiorno a Firenze
“Mattinate fiorentine”(1875), i turbamenti psichici e la sensazione di vertigine provate nello scoprire i segreti del genio artistico di Cimabue e del suo allievo Giotto :
“…ieri la scoperta del Cimabue ha sconvolto la mia mente e la mia concezione dell’arte dei primitivi italiani. ….Primo dei fiorentini, primo degli europei, Cimabue attinse col pensiero e vide cogli occhi dello Spirito il volto di Colei che fu benedetta tra le donne.”
Ruskin, attraverso un’analoga “sindrome di Stendhal”, scopre, attraverso l’estetica di cui è sapiente cultore, il valore universale della città di Firenze, che trascende anche la sua concezione “anti-moderna” del Rinascimento fiorentino.

Tuttavia, entrambi, sia Ruskin che Stendhal, colgono, in anni diversi tra loro, l’identica impressione dell’anima dei suoi abitanti :
“L’istinto musicale mi fece vedere, sin dal giorno del mio arrivo a Firenze, qualcosa di inesaltabile in tutti quei volti , e la sera non rimasi affatto scandalizzato dal loro modo di ascoltare “Il barbiere di Siviglia”;…arrivando da Bologna, terra di passioni, come non restare colpiti da qualcosa di ristretto e di arido in tutte quelle teste? l’amore-passione si incontra di rado tra i fiorentini, così che nulla cambia in questa città dove il conservare viene prima del trasformare..” (Stendhal, “Rome, Naples, Florence”,1817)

“ tranne che per le chiese antiche e i mirabili capolavori, Firenze non mi piace, non mi dice nulla…sembrano tutti cappellai livornesi e ti sembra sempre di stare in negozio. La gente è anche troppo affaccendata per permettersi una qualsiasi emozione, ma affaccendata in inezie. Nessuno si cura minimamente dell’Arte o di alcunché di buono.
…Piazza Duomo è stata trasformata dalla Firenze moderna in una stazione di omnibus e carrozze. Tuttavia questi mezzi moderni, restano ugualmente più tollerabili che non la volgarità della folla a passeggio, i sigari, gli sputi e i provocanti abiti femminili….non un’anima, di quelle che vivono oggi a Firenze, sembra curarsi dell’Arte dei suoi antichi maestri .( da Mattinate Fiorentine, J.Ruskin,1875)

In luoghi particolarmente carichi di storia e di arte, l’individuo si trova ad affrontare una prova importante per la propria identità; essa è sottoposta ad una continua oscillazione tra perdita e ricostruzione, il cui superamento rappresenta una fonte di arricchimento della propria creatività, anche se questo può comportare la momentanea disorganizzazione del proprio campo psichico ( baruffe mentali).
Coloro che vivono abitualmente in quei luoghi, rischiano invece di perdere il piacere della conquista della creatività, reprimendo il proprio disagio emotivo di fronte a un’opera d’arte universale ed illudendosi che l’intangibilità della bellezza dei luoghi consegnatici dal Passato, significhi anche mantenerne la loro utilità, per la quale essi erano stati progettati.

Torna all'archivio