[03/12/2008] Consumo

Altra mazzata sull´economia: il decreto Tremonti svilisce anche la ricerca

LIVORNO. Nemmeno i finanziamenti per ricerca e sviluppo passano indenni dalla scure del governo, che mostra in tutti i suoi provvedimenti, dal più piccolo al più grande questa attitudine a guardare indietro anziché avanti. Con il dl 185/2008, meglio noto come il decreto anti-crisi, è stata inserita una norma che toglie il meccanismo automatico sulla possibilità da parte delle imprese di avvalersi di un credito d’imposta sulle spese relative a ricerca e sviluppo.

Come previsto anche per gli sgravi fiscali del 55% agli interventi di efficienza energetica, per i crediti d’imposta per R&S, si prevede il passaggio dall’Agenzia dell’entrate, con il riempimento di un formulario, una lista di attesa per la verifica dei fondi che verranno erogati (finchè ce n’è) sulla base dell’ordine cronologico dell’arrivo delle domande.

Introdotto con la finanziaria 2007, con quella 2008 il credito d’imposta non solo era stato riconfermato, ma ne era stata incrementata la percentuale dal 15 al 40% sui contratti stipulati con Università e enti pubblici di ricerca. Sempre la finanziaria 2008 aveva innalzato il tetto massimo dei costi su cui applicare il calcolo del credito d´imposta, da 15 milioni a 50 milioni di euro da portare in deduzione.

Il principale vantaggio introdotto dalla finanziaria 2008 riguardava i contratti stipulati con università e centri di ricerca dalle imprese operanti in tutti i settori d´attività, che avrebbero potuto beneficiare di un credito di imposta - non tassabile né ai fini delle imposte sui redditi (Irpef e Ires) né ai fini Irap - pari al 40% delle spese sostenute nei periodi d´imposta sino al 2009.

Il meccanismo previsto dal decreto anti crisi, lascia ferma la data del 31 dicembre 2009, ma inserisce una serie di procedure macchinose per ottenere il credito d’imposta e soprattutto non dà garanzia dell’ottenimento, essendo tutto vincolato alla copertura finanziaria che non si capisce a quanto ammonterà.

Dato che i principali campi di applicazione previsti sono tutti quelli della ricerca, da quella di base (finalizzata ad acquisire nuove conoscenze sui fondamenti di fenomeni osservabili, senza applicazioni o utilizzi pratici diretti), a quella industriale (finalizzata ad acquisire nuove conoscenze da concretizzare nello sviluppo di nuovi prodotti, processi o servizi oppure nel miglioramento di prodotti, processi o servizi esistenti, prototipi esclusi) e che comprende anche la fase dello sviluppo sperimentale in cui rientra anche la realizzazione di prototipi utilizzabili per scopi commerciali e di progetti pilota destinati a esperimenti tecnologici e commerciali.

Il danno quindi appare assai grave sia per il settore industriale che per quello della ricerca, già penalizzata da precedenti interventi inseriti nella finanziaria 2009. Tra i costi ammissibili al credito d’imposta, rientrano infatti anche le spese per il personale, compresi i dipendenti a progetto, ovvero ricercatori e tecnici per le attività di ricerca e sviluppo; le spese per strumenti e attrezzature di laboratorio, nella misura e per il periodo di utilizzo per le attività di ricerca e sviluppo; le spese per la ricerca contrattuale cioè per la realizzazione di un progetto da parte di un ente di ricerca per conto dell´impresa; le spese per la consulenza utilizzata nelle attività di ricerca; le spese per materiali e forniture utilizzati per l´attività di ricerca.

Una strategia miope, come l’ha descritto anche la vice presidente di Confindustria Diana Bracco, al pari di quello che toglie l’automatismo sulla detrazione del 55% sugli investimenti di efficienza energetica, su cui il ministero dell’Ambiente ha depositato oggi (e meno male) la proposta di un emendamento soppressivo. Un provvedimento che oltretutto potrebbe mettere a rischio ulteriori posti di lavoro, dato che come la stessa Bracco descrive il credito d’imposta «ha favorito l’aumento significativo del personale impegnato in attività di R&S» che nel 2006 ha significato «un +13,2% nelle imprese e +65,9% nelle istituzioni no profit».

Insomma ancora una volta si dà dimostrazione, se ve ne fosse ancora bisogno, di quanto sia assolutamente poco lungimirante la politica di questo governo, che anziché dare spazio a ricerca e innovazione per dare strumenti utili all’economia per guardare la futuro, usa come unico perno per farla girare quello dei consumi. E mette invece i bastoni tra le ruote anche a quei provvedimenti (pochi) che mettevano il nostro paese nella giusta direzione di marcia, che è quella di un economia che si attrezza di ricerche e tecnologia e guarda alle questioni ecologiche come perno di svolta e di cambiamento. Quindi al futuro.

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