[05/12/2008] Comunicati

Censis: la società "mucillagine" ha paura della crisi (ma non di quella ecologica?)

LIVORNO. “Mucillagine” eravamo e “mucillaggine” restiamo. Almeno secondo il Censis che nel Rapporto annuale 2008 sulla situazione sociale del Paese, presentato stamani, ribadisce: “Nel nostro precedente Rapporto aveva colpito l’opinione pubblica il termine “mucillagine”(...). Un termine che ben si adattava e si adatta al carattere particolarmente indistinto di un sistema sociale, quello italiano, caratterizzato da un’alta soggettività dei singoli, senza connessioni fra loro e senza tensione a obiettivi e impegni comuni”.

La novità, se così si può dire, è che nulla è cambiato tranne che è passato un altro anno e che la “deriva antropologica”, come la chiama il Censis, si è amplificata. Intendendo come deriva antropologica “il primato delle emozioni come motori della psicologia individuale e collettiva; la tendenza a ricercarne sempre di nuove e più forti; la propensione a sperimentarne la “ripetizione” (dello sballo o della dipendenza, al limite) pur di coltivare l’attesa di nuove impressioni psichiche; la moltiplicazione di presunte “esperienze d’anima” in cui alla fine non c’è più anima ma non c’è neppure il gusto delle esperienze; la concentrazione nella importanza dell’attimo (dove la violenza o lo stravolgimento psichico si illudono di avere un bagliore irripetibile di eternità, mentre nei fatti sono solo passi nel nulla)”.

Emozioni che sono traducibili in paure, tanto che il Rapporto definisce il 2008 proprio come “l’anno delle paure”. Paure come quella dell’immigrato; la paura delle rapine e dei furti (magari dei minori Rom); la paura della microcriminalità di strada; la paura degli incidenti stradali causati da giovani ubriachi o drogati o da camionisti stranieri altrettanto ubriachi e drogati; la paura della violenza giovanile, in particolare del bullismo crescente anche in età finora insospettabili; la paura del lavoro mancante o precario; e via via tutte le paure più squisitamente socioeconomiche (la perdita del potere d’acquisto, la riduzione dei consumi, il difficile pagamento della rata dei mutui, ecc.). Curioso – si fa per dire – che tra le tante paure non ci sia quella per la crisi ecologica, che pur è in atto e che pure è piuttosto evidente a partire dai cambiamenti climatici che, invece, forse perché sembrano riguardare di più Paesi a noi lontani, non valgono neppure un po’ d’ansia. Il Censis in qualche modo si difende dall’omissione di altre paure sostenendo che “gli elenchi di esempi si fanno per attivare autonomi meccanismi di memoria, non per esaurire il mondo dei diversi riferimenti”.

Ma di certo la giustificazione che poi viene data al perché di queste paure – il bombardamento mediatico – lascia perplessi sulle motivazioni che hanno portato a non dare alcuna informazione – in alcuna parte del Rapporto – e neppure un link tra “situazione sociale del Paese” e “ambiente”. Un lapsus, può darsi, anche perché solo due settimane fa Ilvio Dimanti, su Repubblica, aveva pubblicato un sondaggio dove i cambiamenti climatici risultavano ai vertici delle preoccupazioni degli italiani. Dunque o le domande sono state poste in modo molto diverso (e anche questo è significativo) oppure si è ritenuto argomento non degno di nota (e anche questo è significativo).

La crisi economica/finanziaria è quindi, secondo il Censis, ciò che ha scatenato ulteriori paure, anche se la reazione degli italiani, come sempre, non è certo univoca. Altrimenti non sarebbe una società giustappunto ”mucillagine”. La crisi – dice sempre il Centro Studi Investimenti Sociali - ci ha segnato, ed è verosimile attendersi per il prossimo anno ulteriori fasi di flessione. Ma- e pure questo è un’annotazione interessante - ha determinato un salutare allarme collettivo. Si tratta ora di vedere se il corpo sociale coglierà la sfida, se si produrrà una reazione vitale per recuperare la spinta in avanti, sebbene siano in agguato le «italiche tentazioni alla rimozione dei fenomeni, alla derubricazione degli eventi, all´indulgente e rassicurante conferma della solidità di fondo del sistema».

Il Censis parla esplicitamente di una seconda metamorfosi verso cui sta andando la società italiana. Le difficoltà che abbiamo di fronte – dice - possono avviare processi di complesso cambiamento. Attraverso un adattamento innovativo (exaptation, per usare un termine mutuato dalla biologia), cioè non automatico ma reso vitale e incisivo da fattori esogeni e leve di trasformazione, possiamo spingerci verso una seconda metamorfosi (dopo quella degli anni fra il ´45 e il ´75) che forse è già silenziosamente in marcia. La nostra seconda metamorfosi – aggiunge - sarà il risultato della combinazione dei «caratteri antichi della società» con i processi che fanno da induttori di cambiamento. Tra questi vi sono: la presenza e il ruolo degli immigrati, con la loro vitalità demografica e la moltiplicazione emulativa di spiriti imprenditoriali; l´azione delle minoranze vitali già indicate lo scorso anno, specialmente dei player nell´economia internazionale; la crescita ulteriore della componente competitiva del territorio (dopo e oltre i distretti e i borghi, con le nuove mega conurbazioni urbane); la propensione a una temperata gestione dei consumi e dei comportamenti; il passaggio dall´economia mista pubblico-privata a un insieme oligarchico di soggetti economici (fondazioni, gruppi bancari, utilities); l´innovazione degli orientamenti geopolitici, con la minore dominanza occidentale e la crescente attenzione verso le direttrici orientali e meridionali.

Dunque fatta l’analisi – che ci pare piuttosto condivisibile – e parlato di una seconda metamorfosi – che noi tutti auspichiamo – tra i processi che faranno da “induttori al cambiamento”, ci sono delle mancanze piuttosto preoccupanti. A partire dalla necessità, non annoverata nel rapport,o di un riorientamento dell’economia verso un modello meno dissipatore di energia e di materia. Come si può pensare che dopo la crisi tutto posso ripartire come prima senza poi ritrovarsi tardi o presto (più presto che tardi) a ribattere la testa nel solito muro? Difficilmente basteranno “la propensione a una temperata gestione dei consumi e dei comportamenti” perché questi sono soggetti più che mai alle emozioni e dunque il comportamento virtuoso di oggi, può non esserlo più domani, come ci insegna la storia. Serve, per carità, ma conseguentemente serve un modello economico che, ad esempio, non esalti più l’usa e getta, diversamente i comportamenti individuali continueranno a scontrarsi con pratiche e dinamiche assolutamente non arginabili. Leggendo attentamente il rapporto, inoltre, si capisce abbastanza bene che purtroppo tutte le paure e le reazioni anche positive che potrebbero esse stesse generare, sono assolutamente a livello personale. Quello che più conta è il proprio status quo, il proprio tenore di vita e al massimo quello dei figli. Nessuna paura, salvo come detto omissioni, per le generazioni future. Ed è questo che preoccupa davvero.

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