[12/12/2008] Energia

La crisi spinge la Russia verso l´Opec e fa svanire il sogno petrolifero artico

LIVORNO. L´allarme è partito dall´Angola, uno dei Paesi che più avevano approfittato dell´aumento vertiginoso del prezzo del petrolio: lunedì scorso, durante l´insediamento del nuovo consiglio di amministrazione della Sociedade nacional de conbustìveis de Angola (Sonagol), il ministro del petrolio, Botelho de Vasconcelos, aveva detto che «Il settore petrolifero vive un momento d´incertezza e le sfide per il 2009 sono sempre più grandi. Sonagol ha adottato progetti in diversi segmenti della società, in particolare la costruzione di raffinerie, che sono attualmente colpite dal calo dei prezzi del petrolio. Sonangol ha un peso estremamente importante nello sviluppo della nostra economia. In questo momento, assistiamo ad una grande caduta del prezzo del petrolio, speriamo che la situazione possa cambiare molto presto. Progetti come quello della produzione di gas, contribuiranno ad un aumento della forza lavoro per il settore petrolifero del Paese. Qualche soluzione deve essere trovata per rispettare gli investimenti in corso».

Ma se i poveri Stati africani avevano visto nell´aumento vertiginoso del petrolio una inaspettata manna che lasciava cadere sostanziose briciole nelle mani delle cleptocrazie petrolifere, le preoccupazioni maggiori sembrano esserci in quello che è diventato un vero e proprio Stato-mercato energetico: la Russia putiniana.

Una preoccupazione così grossa da spingere il presidente Dmitri Medvedev ad annunciare un passo finora sempre rifiutato: la possibile adesione della Russia all´Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec): «Voglio dire che siamo pronti, dobbiamo difenderci, è la nostra base delle entrate, che sono il petrolio e il gas. Ora, tali misure di protezione sono legate sia alla diminuzione di produzione del petrolio che alla partecipazione a delle organizzazioni di produttori, già esistenti, evidentemente se arriveremo ad intenderci. A mio avviso, non dobbiamo escludere alcuna variante. Lo ripeto: si tratta della base delle entrate del nostro Paese, del suo sviluppo e noi non possiamo farci guidare da nessun criterio astratto né dalle raccomandazioni di altre organizzazioni internazionali. E´ questione dei nostri interessi nazionali. E agiremo come lo giudicheremo utile».
Con l´ingresso della Russia l´Opec avrebbe un potere contrattuale non aggirabile: raggiungerebbe il 53% dell´estrazione mondiale di petrolio.

Medvedev ha spiegato che i Paesi Opec chiedono alla Russia di praticare immediatamente una politica concertata in materia di regolamentazione dei prezzi petroliferi, ma ha anche detto che occorre «sostenere i produttori nazionali e riorientare progressivamente l´economia verso il mercato interno. Bisogna saturare il mercato nazionale e diversificare la produzione. I Paesi orientati sul consumo interno soffrono molto meno della crisi di quelli che sono concentrati sulle esportazioni».
Una sorta di nazionalismo autarchico che vorrebbe sostenersi con un´apertura fino ad ora altezzosamente respinta all´Opec e che piace molto alla Lukoil che chiede all´Opec di ridurre di 2 milioni e mezzo di barili al giorno l´estrazione di petrolio. Secondo il vice- presidente vice-président de la potentissima multinazionale-statale russa, Leonid Fedun, «Se 2,5 milioni di barili vengono ritirati dal mercato quotidianamente, rappresentano un volume di 125 milioni di tonnellate di estrazione annua, il prezzo potrebbe aumentare fino a 60 - 80 dollari».

La prossima riunione dell´Opec è convocata ad Algeri per il 17 dicembre e dovrebbe decidere un calo considerevole dell´estrazione di petrolio che la Russia ha già dichiarato di sostenere.
Per Fedun «Lukoil parte dal principio che il prezzo del petrolio inferiore a 75 dollari al barile è economicamente ingiustificato. IN un contesto di prezzi poco elevati del petrolio, i progetti di creazione di fonti alternative di energia e la valorizzazione dei giacimenti di petrolio pesante sono congelati. Un´ondata di deficit si sta formando attualmente nel mondo. La penuria colpirà duro per tre o quattro anni».

Probabilmente a preoccupare i russi, più che la sorte delle energie alternative, è il fatto che il calo del prezzo del petrolio mette fuori gioco i colossali e costosissimi progetti di sfruttamento delle risorse petrolifere dell´Eldorado ghiacciato dell´Artico. Secondo alcune stime, con gli attuali costi solo l´1% del petrolio nascosto sotto la piattaforma artica rivendicata dalla Russia sarebbe redditizio´. La crisi fa sfumare così un potenziale di 13,8 miliardi di tonnellate di petrolio e 79.100 miliardi di metri cubi di gas, il calo dei prezzi chiude una cassaforte artica che rappresenta da sola oltre il 71% delle riserve di petrolio e l´88% di quelle di gas di tutta l´immensa piattaforma marittima russa. I sogni artici di Mosca alimentati dalla speculazione finanziaria svaniscono nella crisi dell´economia reale del mondo.

Il quotidiano RBC Daily spiega che «La situazione evolverà se il prezzo del petrolio risalirà in maniera stabile a 100 dollari il barile e se, nello stesso tempo, l´esonero dell´imposta sull´estrazioni minerarie sarà portato da 7 a 10 anni. Ma anche in queste condizioni, sarà due volte più redditizio investire nella produzione sulla terraferma che nell´offshore».

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