[12/12/2008] Acqua

Arno, Castello e Pit

PISA. Mauro Parigi ha preso spunto dalle vicende fiorentine di Castello - considerate una vera maledizione - per tornare a parlare della pianificazione in Toscana e del PIT. Lo ha fatto ricordando che ‘disegnare’ una regione per grandi affreschi, la città policentrica, il patrimonio collinare e il patrimonio costiero favorisce sicuramente le narrazioni ma assai meno i piani.

Vorrei partire da qui per dire poche cose sull’Arno di cui si è tornati a parlare con grande apprensione in questi giorni. Non sono lontane le celebrazioni del quarantennale dell’alluvione in cui furono rievocate quelle drammatiche giornate ma ben poco fu detto su come stavano ora le cose per il bacino tanto che –come è stato ricordato in questi giorni- è ancora privo del suo segretario generale.

E’ vero che si è denunciato recentemente che i finanziamenti previsti e promessi non sono mai arrivati se non in misura estremamente ridotta.. Ma che il problema non fosse solo di soldi doveva e dovrebbe essere chiaro a tutti.

Possibile che nessuno ricordi che la legge 183 –quella sui bacini idrografici- era stata manomessa dalla Commissione Matteoli nelle sue competenze più importanti?

Possibile che l’Arno lo si debba trovare soltanto nelle schede che accompagnano il Pit come realtà paesaggistica importante e nel Praa come ‘zona di criticità ambientale’ definizione di estrema genericità, il tutto accompagnato da un modesto finanziamento?
O si deve anche per l’Arno come per Castello pensare alla ‘maledizione’?

Ma è meglio pensare –sarebbe ora- che una politica di pianificazione regionale adeguata deve per forza di cose passare anche per quegli strumenti che non sono oggi riconducibili ai livelli comunali o provinciali perché quella è una filiera corta e quindi insufficiente.

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