[15/12/2008] Consumo

L´America ci salverà dalle crisi... prodotte dall´America?

LIVORNO. La grave crisi finanziaria ed economica in atto da poco più di un anno (i primi segnali risalgono ad agosto 2007) è appena all’inizio e nessuno sa come procederà né tanto meno come e quando finirà. Ma osservando quel che accade e i trent’anni di liberismo forzato delle economie e della finanza globali, qualche insegnamento lo si può ricavare.
Per anni il resto del mondo ha criticato, anche aspramente, il comportamento dei consumatori americani di vivere al di sopra dei loro mezzi, cioè a spese del resto del mondo.
Infatti all’origine di questa crisi c’è anche l’accumularsi di forti squilibri finanziari dovuti a una enorme quantità di debiti fatti negli Stati Uniti.

Ora che questa montagna di debiti ha creato crisi di liquidità e di conseguenza ha dato il via a una grande e diffusa depressione, si nota anche che se il consumatore americano decide di stringere la cinghia le cose in Europa e Asia saranno ancor più gravi.
In passato, per tutto il secondo dopoguerra, quando in più di una circostanza l’economia europea andava male poteva sempre contare sugli Stati Uniti per continuare ad esportare e vendere al consumatore americano; il recente benessere conquistato da milioni di persone in Cindia, Vietnam, Brasile, ecc. si aggancia alla capacità di importazione degli Stati Uniti. Questo vuol dire, al di là di ogni giudizio morale ma anche di una necessaria critica ecologica dei consumi di materia energia e dei costi sociali che ciò comporta, che tutti in questo modello di crescita economica e consumo planetari, hanno interesse che gli Stati Uniti vivano al di sopra dei propri mezzi, dei mezzi globali e quindi con i mezzi degli altri.

E’ un paradosso: essere soddisfatti di essere molto meno ricchi dei consumatori americani, consentendo loro di assorbire risorse e ricchezze a scapito del resto del mondo perché si possa continuare a percepire una frazione di quella capacità di consumo e spreco.
In altre parole l’interdipendenza tra mercati è tale da amplificare gli squilibri distribuendoli in complesse concatenazioni che per la loro casualità e opacità finiscono facilmente fuori controllo.

Infine va tenuto presente che a dispetto dei problemi Usa (compresi deficit federale e commerciale da capogiro) sono ancora ritenuti dagli investitori il luogo più sicuro in cui portare soldi. Ciò in virtù del fatto che essi godono tutt’ora di maggiore credito rispetto agli altri paesi del mondo occidentale o del terzo mondo o anche dei paesi emergenti. Ma mentre gli Stati Uniti attirano e usano risparmio proveniente da tutto il mondo – con il quale possono tentare di porre rimedio ai loro problemi, mentre i costi di rischio aumentano e le entrate globali, gli scambi commerciali e i prezzi delle materie prime calano – tutti gli altri, ma i Pvs in particolare sono costretti a dover far fronte a condizioni molto peggiori.

Tutto questo è un primo insegnamento su cui riflettere.
Ma il secondo punto su cui riflettere è invece una speranza: quella che i piani e la rivoluzione verde annunciata dal nuovo presidente Barack Obama diventi ben presto realtà, perché un riorientamento (dato dal governo della polis) alla sostenibilità dell’economia statunitense trascinerà con sé tutte le altre economie nazionali e le scelte ambiziose ma annacquate che l’Europa ha confermato in questi giorni sul 20-20-20 e a Poznan potranno finalmente concretizzarsi. E il passo verso Copenhagen diventerà finalmente una corsa.

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