[17/12/2008] Comunicati

Corte Ue: giusto escludere i settori plastica e alluminio dal sistema di scambio delle quote di Co2

LIVORNO. Le industrie siderurgiche europee sono soggette fin dalla fase iniziale al sistema di scambio di quote di gas a effetto serra previste dalla direttiva Ue del 2003, mentre le industrie dell’alluminio e della plastica che invece ne sono escluse, emettono identici gas. Ma nonostante tutto non si può affermare che il sistema elaborato dall’Ue per ridurre le emissioni in atmosfera di CO2 violi il principio di parità di trattamento fra i vari settori, perché il coinvolgimento nella prima fase di attuazione del complesso sistema di un eccessivo numero di partecipanti avrebbe potuto pregiudicare l’esecuzione e il funzionamento dello stesso. E inoltre perché la delimitazione iniziale dell’ambito di applicazione a solo determinati settori industriali è stata dettata nell’intento di “raggiungere la massa critica di partecipanti necessaria all’istituzione di tale sistema”. Dunque l’esclusione è giustificata e lo afferma la Corte di giustizia chiamata in causa dal Consiglio di Stato francese con sentenza di oggi.

La direttiva 2003/87/CE è quella che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, al fine di promuoverne la riduzione secondo criteri di validità in termini di costi e di efficienza economica.

Il sistema è complesso ed è articolato in due fasi di sviluppo (la prima attuata fra il 2005 e il 2007 e la seconda dal 2008 al 2012). Nella prima fase il sistema è applicato solo alle emissioni di alcune attività ad esempio gli impianti di combustione, raffinerie e cokerie, gli impianti per la produzione del vetro e appunto gli impianti siderurgici. Emissioni che devono essere sottoposte a previa autorizzazione e a un’attribuzione di quote assegnate in conformità ai piani nazionali di assegnazione. Se un gestore riesce a ridurre le sue emissioni, può vendere le quote in eccesso ai gestori di impianti le cui emissioni sono eccessive.

Ma comunque sia, il sistema è elaborato dal legislatore europeo sulla base dell’esperienza acquisita tenendo conto di tutti gli elementi di fatto e dei dati tecnici e scientifici disponibili al momento dell’adozione dell’atto in questione.

Dai lavori preparatori alla direttiva risulta che il settore chimico comprende un numero particolarmente elevato di impianti (intorno a 34.000) e non solo in relazione alle emissioni da essi provocate, ma anche con riferimento al numero degli impianti attualmente inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva pari a circa 10.000. Secondo la Corte dunque l’inclusione di questo settore nell’ambito di applicazione avrebbe appesantito la gestione e gli oneri amministrativi del sistema di scambio di quote, così da “non poter escludere l’eventualità di una perturbazione del funzionamento di tale sistema, causato da detta inclusione, in sede di attuazione”. Ecco dunque perché il legislatore comunitario ha ritenuto che i vantaggi dell’esclusione dell’intero settore nella fase iniziale fossero superiori ai vantaggi della sua inclusione in questa primo periodo.

Riguardo invece al settore dei metalli non ferrosi dai lavori preparatori risulta che le emissioni dirette di questo settore erano pari nel 1990 a 16,2 milioni di tonnellate di CO2, mentre il settore siderurgico ne emetteva 174,8 milioni di tonnellate.

La differenza del livello di emissioni dirette tra i due settori interessati – afferma la Corte - è talmente rilevante che il trattamento differenziato di questi settori, durante la prima fase di attuazione del sistema, può ritenersi giustificato senza che al legislatore comunitario sia imposto di dover tener conto delle emissioni indirette imputabili ai diversi settori.

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